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Lavoro: i problemi che dovremo affrontare

I dati Istat di febbraio sull’andamento dell’occupazione sono già superati dall’emergenza sanitaria ed economica, ma analizzarli può aiutarci a individuare le principali criticità

di Fulvio Fammoni*

I dati ISTAT di febbraio 2020, sull’andamento dell’occupazione, fotografano un periodo che non rappresenta più la concreta realtà dei fatti già dal mese di marzo. Gli effetti della pandemia hanno ripercussioni anzitutto sulla salute dei cittadini, ma con tutta evidenza anche sull’economia e sull’occupazione. Verrebbe da dire “prendiamo atto” e rimandiamo il commento al prossimo mese quando si inizieranno a vedere i primi effettivi riscontri sugli effetti del coronavirus relativi a occupazione disoccupazione e ore lavorate. Eppure, analizzare questa ultima rilevazione, può essere utile per capire le dinamiche già in corso e provare ad individuare i principali problemi che ci troveremo ad affrontare già nell’immediato.

Anzitutto, già nel 2° semestre del 2019, la dinamica dell’occupazione, per la stagnazione in atto, era rallentata e nel trimestre dicembre 2019-febbraio 2020 (rispetto a settembre-novembre 2019) il saldo è complessivamente negativo di meno 89mila unità. È dunque un mercato del lavoro già in difficoltà, quello che si imbatte negli effetti della pandemia. Analizzando i dati, alcuni dei punti più deboli nel prossimo futuro si evidenziano e vanno posti sotto lente di ingrandimento.

I numeri da tenere a riferimento, per la prima verifica con i dati di marzo sono:
Occupati : 23 milioni 262mila; abbiamo già commentato il calo a livello trimestrale, ma non si può non notare che per la prima volta da tempo già a febbraio diventa negativo l’andamento annuale di -6mila unità rispetto a febbraio 2019.
Disoccupati: 2 milioni 513mila; il calo annuale di -206mila unità si azzera di fatto nell’ultimo trimestre (-5mila).
Inattivi: 13 milioni 232mila; vedono una assoluta eguaglianza fra il dato dell’ultimo trimestre e quello annuale (+51mila).

Cosa tenere (o meglio temere) in particolare attenzione per il prossimo futuro: sarà altissimo già da marzo e nei mesi successivi, il ricorso agli ammortizzatori sociali, con conseguente calo di ore lavorate che, è bene ricordare, sono attualmente ancora più basse di quelle del 2008; la chiusura di aziende e il calo di attività avrà ripercussioni sull’andamento dell’occupazione su diversi versanti; i lavoratori a tempo indeterminato, sia relativamente al numero totale che al numero dei part time; i lavoratori a termine che nell’immediato, a mio parere, rappresentano il pericolo più grande. Nel 2008 furono i primi a subire la ripercussione della crisi, da allora sono aumentati di circa un terzo fino al numero di febbraio di 3 milioni 106mila. Molti di loro hanno periodi di attività molto brevi e a forte rischio nel prossimo futuro, per gli altri la spada di Damocle è legata al termine di scadenza. Lo scorso anno le attuazioni fra marzo, aprile e maggio furono circa 850 mila; le cessazioni circa 500 mila e circa 150 mila trasformati a tempo indeterminato. Il rischio concreto è che tutti e tre questi parametri vadano contemporaneamente in sofferenza, con un particolare riferimento negativo a cessazioni e trasformazioni.

Ragionamento analogo può essere fatto per il lavoro in somministrazione che già a gennaio 2020 si era ridotto del 2,3%. Infine, nel lavoro autonomo, è presente un numero alto di cosiddetti (definizione ILO) Dependent Contractor, cioè rapporti sostanzialmente dipendenti limitati ad un unico cliente/committente; in Italia si tratta di una cifra vicina fra le 300 e le 400mila persone. Come si vede, numeri enormi, che già in tempi brevissimi possono cambiare sostanzialmente e in negativo sia il numero di occupati che di disoccupati. Penso non serva altro a motivare la urgentissima necessità di ulteriori tutele rispetto a quelle già previste e di interventi straordinari (più che urgenti immediati) a supporto della possibile ripresa appena la condizione sanitaria lo renderà possibile.

*presidente Fondazione Di Vittorio

 

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