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Da emergenza sanitaria a emergenza ambientale?

L’ulteriore accumulo di rifiuti (comprese mascherine e dispositivi di protezione individuale monouso) potrebbe causare, nel lungo periodo, ingenti danni

di Redazione

L’emergenza sanitaria legata alla pandemia di coronavirus, diventata presto economica, potrebbe nel lungo periodo trasformarsi anche in emergenza ambientale, a causa dell’uso abnorme di dispositivi di protezione individuale monouso. Molti studi hanno analizzato la relazione tra inquinamento atmosferico e diffusione del coronavirus, ma pochi ancora sono quelli che riguardano la pandemia come fonte ulteriore di rifiuti e danno per l’ambiente.

Photo by Mika Baumeister on Unsplash

Secondo uno studio pubblicato a giugno dalla rivista Environmental Science and Technology, dall’inizio della pandemia vengono gettati via 194 miliardi di dispositivi di protezione individuale al mese, di cui 129 miliardi di mascherine e 65 miliardi di guanti. Mentre per quanto riguarda solo l’Italia, a maggio l’ISPRA – l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale – aveva stimato una produzione di guanti e mascherine per tutto il 2020 che ammonta ad un minimo di 160 mila ad un massimo di 440 mila tonnellate.

Si tratta comunque di miliardi di dispositivi realizzati in plastica oppure in lattice, nitrile, Pvc e altri materiali sintetici che essendo monouso vanno ad aumentare i consumi di plastica e che oltretutto non sono riciclabili perché potenzialmente infetti.

Infatti, guanti e mascherine, una volta utilizzati e quindi divenuti rifiuto, da una parte costituiscono un pericolo per la salute sa quando sono abbandonati per strada perché possibili veicoli del virus, sia se gettati correttamente perché sono smaltiti come rifiuti indifferenziati e quindi accumulati nelle discariche e poi inceneriti. Mentre dall’altra costituiscono un grande danno ambientale in quanto – oltre all’impatto per produrli essendo materiali plastici – nello specifico le mascherine, impiegano fino a 450 anni per decomporsi completamente.

Secondo le stime dell’ISPRA, se anche solo l’1% delle mascherine utilizzate in un mese venisse smaltito in maniera non corretta, se ne avrebbero circa 10 milioni al mese disperse nell’ambiente. L’allarme lanciato non è così lontano dalla realtà. Non è possibile fare una stima di quante mascherine vengono utilizzate, buttate e quante di queste gettate correttamente, ma l’organizzazione francese non profit Opération Mer Propre prevede che nei mari ci sarebbero già ora “più mascherine che meduse”.

La soluzione sarebbe, oltre quella di un corretto smaltimento dei dispositivi sia a parte dell’utilizzatore che al momento della gestione a fine vita, utilizzare mascherine non monouso e di materiali non plastici, quindi le mascherine di stoffa riutilizzabili.

 

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