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Gli impatti sociali ed economici del Covid sul mondo del lavoro

Ricerca Tecnè-Fondazione Di Vittorio: come cambiano gli stili di vita e le abitudini di consumo delle famiglie italiane, tra incertezze e timori legati alla diffusione dell’epidemia di coronavirus. Nel complesso, l’86% delle imprese totali e il 90% di quelle del terziario ha registrato un calo di fatturato

di Redazione

L’esplosione della crisi sanitaria a fine febbraio 2020 ha determinato uno shock esogeno che ha colpito simultaneamente il lato della domanda e quello dell’offerta con un crollo dell’attività economica in quasi tutti i settori. Alle misure restrittive messe in campo per rallentare la diffusione del virus si sono sommati gli effetti indiretti determinati dalla contrazione del reddito disponibile, la paura di ammalarsi e le incertezze rispetto al futuro.

Fin da subito il terziario è stato il più esposto all’impatto economico, in ragione delle caratteristiche delle attività che rientrano nel settore. Un settore che in Italia rappresenta il 79% delle imprese, il 55% del fatturato, il 58% del valore aggiunto, il 68% degli occupati e il 63% dei lavoratori dipendenti.

Gli stili di vita

La prima parte della ricerca a cura di Tecnè e Fondazione Di Vittorio, Gli impatti sociali ed economici del Covid sul mondo del lavoro (con un focus sul terziario), analizza gli impatti sull’opinione pubblica. Nella graduatoria dei timori la preoccupazione prevalente riguarda gli impatti sociali dell’epidemia che hanno come messa a terra conflittualità, disoccupazione e povertà, cui fa seguito una marcata apprensione relativa al rischio di contrarre l’infezione (o che si ammalino i familiari) e poi i timori che riguardano la sfera economica individuale, come le conseguenze sul bilancio familiare e la paura di diventare poveri.

I comportamenti degli italiani sono coerenti alla necessità di contenere la diffusione del virus attraverso il distanziamento sociale e l’attenzione all’igiene personale. Il 90% ha dichiarato, infatti, di indossare sempre la mascherina in luoghi pubblici, l’82% evita di frequentare posti affollati, il 77% pone maggiore attenzione all’igiene personale e delle mani, il 46% evita i contatti ravvicinati con amici e colleghi di lavoro.

Ma soprattutto, dai dati della ricerca, risulta evidente quanto l’epidemia abbia cambiato il tracciato quotidiano, riconfigurandosi intorno al distanziamento sociale e alla protezione economica del proprio nucleo familiare. Si incontrano meno gli amici, si riducono le attività legate al benessere e all’entertainment, si frequenta di più il proprio quartiere anche per le piccole spese quotidiane. Si pranza meno fuori casa e cresce l’attenzione nel cercare il supermercato più conveniente, evitando gli sprechi alimentari. La strategia è cercare di risparmiare il più possibile per i momenti di difficoltà, evitando gli acquisti non effettivamente necessari e rinviando quelli non indispensabili.

Spesa delle famiglie e nuove abitudini di consumo

Il nuovo palinsesto della quotidianità si riflette nei consumi delle famiglie. La stima della possibile contrazione complessiva per il 2020, in termini di volume di spesa, è senza precedenti, -228 euro al mese rispetto all’anno scorso (-9%). Una contrazione che, però, racconta solo in parte le modifiche avvenute nei comportamenti d’acquisto. Infatti, aumenta leggermente la spesa alimentare (+4%) e resta sostanzialmente stabile l’incidenza dei costi fissi dell’abitare (affitto o mutuo), con un lieve aumento delle spese relative alle forniture di acqua, gas ed energia. Crollano, invece, le spese no-food: abbigliamento e calzature (-23%) beni e servizi per la pulizia e manutenzione della casa (-20%); spese di trasporto (-28%); tempo libero (-35%).

Il cambio delle strategie di consumo si somma alla crescita degli acquisti online, spostando ancora più in là il punto di ricaduta negativo degli effetti sul commercio tradizionale. In media, infatti, la crescita della spesa online è del +26% rispetto al 2019, sfiorando i 23 miliardi di euro, nonostante un calo significativo degli acquisti relativi al tempo libero.

I cambiamenti avvenuti negli stili di vita e nei comportamenti di consumo sembrano destinati a sedimentarsi. Finita l’emergenza sanitaria, infatti, il 26% continuerà a vivere le relazioni, le amicizie e l’uso del tempo libero nelle modalità attuali e il 28% continuerà a fare acquisti e adottare gli stessi comportamenti di consumo sperimentati in questo periodo.

Lavoro e reddito

Altrettanto importante, nelle sue conseguenze sociali ed economiche, è la percezione del rischio di subire un degrado nelle mansioni o nel reddito, oppure di perdere il lavoro. Ciò che colpisce è la convinzione che la contrazione economica determinata dall’epidemia incida sui livelli occupazionali, sui redditi e sulle mansioni dei lavoratori più di quanto non faccia la crescita del commercio elettronico e l’innovazione tecnologica.

Solo il 6% degli intervistati si attende un miglioramento delle condizioni economiche personali mentre il 13% teme un ulteriore peggioramento (22% tra i lavoratori del terziario). Il sentimento prevalente è quello di vivere strappati via dalla quotidianità che rappresentava un progetto di vita, travolti da un’onda anomala e costretti a muoversi in apnea, sospesi tra il sogno della ripartenza e l’incubo della povertà.

Imprese

L’altro versante dell’indagine riguarda gli impatti sulle imprese. Nella prima fase dell’emergenza sanitaria (marzo-aprile) il fatturato delle imprese si è ridotto, in media, del 42% rispetto allo stesso periodo del 2019. Nel complesso, l’86% delle imprese totali e il 90% di quelle del terziario ha registrato un calo di fatturato. Le stime preliminari, relative al conto economico delle imprese per il 2019 e per il 2020, sono senza precedenti: -326 miliardi il fatturato, -10% il valore della produzione, -23% il valore aggiunto, -43% il margine operativo lordo. Solo nel terziario la la perdita di fatturato potrebbe contabilizzare -222 miliardi di euro.

La risposta delle imprese alla violenza e alla velocità della crisi è andata prevalentemente nella direzione di una riduzione delle ore lavorate, cui non corrisponde un contestuale calo degli addetti in ragione del blocco dei licenziamenti stabilito dal governo e al massiccio ricorso alla cassa integrazione, che ha mitigato l’impatto sull’occupazione il cui calo riguarda, prevalentemente, i lavoratori a tempo determinato (cui non sono stati rinnovati i contratti), il mancato turnover legato ai pensionamenti e la perdita di lavoro conseguente alla chiusura delle attività per i lavoratori autonomi.

Solo il 22% delle imprese ha adottato misure orientate a rendere più efficienti i processi di produzione e a modificare i canali di vendita (15%), accelerando la transizione al digitale (9%). Ma anche laddove queste misure sono state messe in campo, sono spesso accompagnate da una consistente riduzione delle ore di lavoro. Ciò dipende solo in parte dalla resistenza al cambiamento delle imprese. Molto è ascrivibile alla particolare conformazione della struttura produttiva italiana, composta da una miriade di micro e piccole attività, storicamente poco capitalizzate, a cui si sommano la rigidità dei sistemi autorizzativi e le difficoltà di accesso al credito.

In questo contesto la gestione del personale è stata la principale leva su cui le imprese hanno agito per tentare di mantenere la linea di galleggiamento. Il 70% ha fatto ricorso alla CIG, al FIS e ad altri strumenti analoghi, il 35% ha adottato misure che hanno ridotto le ore di lavoro e il ciclo produttivo, facendo un massiccio ricorso all’utilizzo delle ferie, in particolare nella prima fase della crisi.

Dal punto di vista finanziario, per rispondere al calo del fatturato, il 44% delle imprese ha attivato nuove linee di credito e il 23% ha utilizzato i margini disponibili su quelli già esistenti, il 25% ha rinegoziato i termini di pagamento con i fornitori e il 18% ha differito il rimborso di debiti pregressi. Tutte misure che, seppur dettate da uno stato di necessità, aumentano i problemi finanziari e peggiorano, nel breve-medio periodo, il conto economico, considerando anche che, nei prossimi mesi, le strategie finanziarie che le imprese pensano di adottare ricalcano lo stesso schema.

Conclusioni

In sintesi, l’orientamento prevalente è quello di entrare nella fase post-covid senza significative innovazioni strutturali, se non in termini di riorganizzazione dei processi e dei canali di vendita, rischiando di mancare le nuove domande di beni e servizi che nel frattempo hanno preso forma.

Un contributo fondamentale ad orientare il sistema produttivo verso una ripresa ad alto valore aggiunto lo potranno dare politiche economiche e fiscali adeguate, che stimolino gli investimenti e l’occupazione di qualità, insieme a quelle riforme di sistema, più volte annunciate e mai realizzate.

Puoi consultare l’indagine Tecnè-Di Vittorio in PDF

 

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