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L’andamento dei redditi in Europa

Si osservano evidenti differenze economiche all’interno dell’Unione europea, che nel frattempo gli effetti della pandemia potrebbero avere aggravato

di Redazione

Le differenze economiche all’interno dell’Unione europea sono evidenti, soprattutto tra i paesi del Nord e dell’Est Europa. L’analisi della retribuzione oraria lorda mediana, effettuata dall’Eurostat, mostra grandi differenze all’interno degli Stati membri: nell’ottobre 2018, data a cui si riferisce la rilevazione, la più alta retribuzione oraria lorda nazionale era quattro volte superiore alla più bassa, se espressa a parità di potere d’acquisto.

Se invece si considera la retribuzione in euro, il gap della retribuzione risulta più alta di 11 volte rispetto a quella più bassa, nello specifico in Danimarca si registra una retribuzione oraria lorda mediana di 27,2 euro, mentre in Bulgaria era di 2,4 euro. Tra le altre nazioni con una retribuzione maggiore si distinguono: il Lussemburgo con 19,6 euro, la Svezia, 18,2, Belgio e Irlanda, entrambe con 18 euro e Finlandia e Germania, con una retribuzione lorda oraria mediana rispettivamente di 17,5 e 17,2 euro. Al contrario, i paesi in cui è più bassa, dopo la Bulgaria, sono la Romania in cui la retribuzione analizzata è di 3,7 euro, Ungheria e Lituania, in cui in entrambe è di 4,4 euro, la Lettonia in cui la retribuzione lorda mediana è di 4,9 euro l’ora, la Polonia in cui è di 5 euro e Croazia e Portogallo, in cui, in entrambe è di 5,4 euro.

L’analisi sulla retribuzione oraria lorda mediana è importante, oltre che per evidenziare le differenze tra stati, anche perché è la base per poter stabilire la quota nazionale di dipendenti che sono considerati lavoratori a basso reddito, cioè coloro che guadagnano due terzi o meno della retribuzione oraria lorda mediana nazionale di riferimento. In generale l’Eurostat rileva che nel 2018, stesso anno di riferimento della precedente analisi, la quota di lavoratori dipendenti a basso reddito era del 15,3% sul totale dei dipendenti, percentuale che seppure alta, risulta in diminuzione rispetto al 16,4% registrato nel 2014.

Le differenze regionali, anche in questo caso sono evidenti e rispettano, con poche eccezioni, la distribuzione speculare rispetto alla classificazione in base al reddito orario lordo mediano. La Lettonia, in cui si registra il 23,5% di lavoratori dipendenti a basso reddito, rappresenta il paese con la percentuale più alta, seguito da Lituania, Estonia, Lettonia, Bulgaria e Germania, tutte con una quota di lavoratori a basso reddito. Mentre il paese europeo con una percentuale minore è la Svezia, con solo il 3,6% di lavoratori a basso reddito, a cui seguono il Portogallo, 4%, la Finlandia, 5%, e l’Italia, in cui i dipendenti che percepiscono meno di due terzi del reddito orario lordo mediano sono l’8,5%.

L’analisi fa riferimento ai redditi rilevati due anni fa, ma i lavoratori dipendenti a basso reddito rappresentano una nuova forma di poor-workers e la loro condizione potrebbe essere peggiorata con l’attuale situazione data dal coronavirus. Sempre secondo l’Eurostat, infatti, l’impatto del Covid sui redditi dei dipendenti non è stato irrilevante. Anzi, in base alle statistiche sperimentali dell’istituto europeo, nel quadro di stime prodotte tramite un esercizio di nowcasting – previsioni sul presente o imminente futuro -, ne risulta che la perdita stimata del reddito da lavoro mediano nell’Unione europea sia del 5,2% nel 2020 rispetto al 2019.

Nello specifico, dai dati emerge che l’impatto della crisi è diffuso in modo disomogeneo tra i paesi membri e risulta essere particolarmente forte per i lavoratori più vulnerabili e a basso reddito che subiscono perdite da tre a sei volte maggiori rispetto ai lavoratori con salari elevati nella metà degli stati UE. In Italia, secondo le stime, in media i lavoratori con la crisi hanno perso il 4% del loro reddito mediano in un anno, ma i lavoratori a basso reddito hanno perso circa il 9%, mentre i lavoratori ad alto reddito poco più del 3%. Utili a mitigare l’effetto del coronavirus sui redditi sono stati i programmi di compensazione salariale e di protezione del lavoro messi in campo dal governo: secondo le stime dell’Eurostat grazie a queste politiche in media i lavoratori italiani hanno perso in un anno “solo” il 2% del loro reddito.

 

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