L’anno «nero» dei giornalisti
Nel 2020 il numero di giornalisti in carcere sale a 274. Tra questi chi ha riportato notizie sui disordini nel proprio paese, ma anche chi ha raccontato il coronavirus
di Redazione
È stata condannata a quattro anni di carcere Zhang Zhan, ex avvocato diventata citizen journalist, che da febbraio si era trasferita a Whan e condivideva sui social i resoconti in diretta della crisi coronavirus dalla città focolaio. Arrestata a maggio, l’incriminazione affermava che la giornalista-blogger aveva inviato “false informazioni tramite testo, video e altri media attraverso mezzi quali WeChat, Twitter e YouTube”, mentre la sentenza, arrivata dopo un’udienza breve, ha motivato la colpevolezza per aver “raccolto litigi e provocato problemi”. Zhang è stata la prima ad avere un processo nel gruppo di quattro citizen journalist detenuti dall’inizio dell’anno per aver rendicontato e pubblicato gli eventi successi a Wuhan quando si parlava di una polmonite misteriosa.
Questi casi si vanno ad aggiungere ai 47 giornalisti che al 1° dicembre sono finiti in prigione a causa del loro lavoro. Secondo l’annuale report redatto dal Committee to Protect Journalists, la Cina è la prima nazione per giornalisti detenuti, ma non è la sola. In totale nel 2020 sono stati 274 i membri dei media che in tutto il mondo sono finiti in prigione a causa del loro lavoro, ed il numero non tiene conto di coloro che sono stati imprigionati e rilasciati.
Dopo la Cina, per maggior numero di giornalisti dietro le sbarre seguono la Turchia con 37 giornalisti incarcerati, l’Egitto dove sono 27, l’Arabia Saudita, paese in cui i media in prigione sono 24. Secondo i dati il 2020 è stato un anno nero per la stampa, con 23 arresti in più rispetto allo scorso anno. Il fatto scatenante dell’aumento è stato, come nel caso della citizen journalist cinese, il coronavirus. Molti dei giornalisti incarcerati sono stati accusati per aver denunciato la gestione della crisi sanitaria da parte delle autorità o aver reso pubbliche informazioni sulla situazione non rese disponibili dai governi, specialmente in Cina ed Egitto. Un’altra causa molto comune che mette a rischio la libertà e la vita dei giornalisti è rivelare le notizie sui disordini politici che i governi tentano di sopprimere, questo è il caso verificatosi quest’anno in Etiopia e Bielorussia, dove il report testimonia un aumento significativo da un anno all’altro degli arresti, presumibilmente in seguito al recente incremento delle proteste e dei conflitti.
Dei 274 giornalisti in prigione, il 12% è stato arrestato per aver diffuso fake news, il 67% sarebbe in carcere per crimini contro lo Stato, mentre del 19% non sono stati neppure dichiarati i capi d’accusa.