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Usa 2020, ultimo atto: l’importanza dei ballottaggi in Georgia

Le elezioni che si terranno il 5 gennaio nello Stato del Sud determineranno la maggioranza al Senato, un aspetto cruciale per la futura amministrazione Biden e la realizzazione della sua agenda politica  

di Redazione

L’America si prepara al cambio di amministrazione che avverrà formalmente il 20 gennaio con la cerimonia di insediamento di Joe Biden. Nel mentre i lavori del team di transizione proseguono, nonostante le difficoltà. Il mondo si comincia a interrogare che Stati Uniti saranno quelli guidati da Biden. Ma per rispondere a questa domanda in modo definitivo, sarà opportuno attendere il 5 gennaio, quando in Georgia si terranno due importanti ballottaggi per i due seggi senatoriali rimasti in palio. Sarà una sfida fondamentale – soprattutto per la futura amministrazione – per determinare quale partito avrà la maggioranza al Senato. Attualmente la situazione vede i repubblicani in vantaggio 50 a 48 (serve arrivare a 51 su 100 per ottenere la maggioranza), motivo per cui i democratici dovranno conquistare entrambi i seggi per raggiungere la parità e usufruire del diritto di voto che spetterebbe in caso di parità al vicepresidente Usa, vale a dire, dal 20 gennaio 2021, Kamala Harris. Una maggioranza democratica al Congresso agevolerebbe lo spazio di manovra e le riforme che Biden intende applicare.

L’emergenza sanitaria e l’emergenza climatica, ma anche le tensioni razziali sono i temi al centro dell’agenda Biden. Molto di quello che l’amministrazione democratica riuscirà a realizzare, insomma, dipenderà dall’esito del voto del 5 gennaio. In Georgia è prevista un’alta affluenza e che in molti hanno fatto richiesta, come è stato per le presidenziali, di votare per posta. Ieri era l’ultimo giorno di early voting e, infatti, oltre due milioni di elettori si sono già espressi in anticipo. Per quanto ne sappiamo oggi (di sondaggi ne sono stati diffusi davvero pochi e non molto attendibili), resta improbabile che i repubblicani non riescano a mantenere una maggioranza risicata, ma con queste premesse tutto è possibile. Qui Biden ha vinto per pochi voti, ma lo Stato è tradizionalmente conservatore e l’ultima volta che vinse un democratico fu nel 1992 con Bill Clinton. Che in ogni caso l’elezione sia molto sentita – in parte avrà delle inevitabili ricadute anche sull’eredità dell’amministrazione che sta per lasciare l’incarico – è dimostrato dal grado di coinvolgimento di entrambi i presidenti, quello eletto e quello uscente: Biden (insieme alla vice Harris) e Donald Trump sono stati in Georgia tra il 3 e il 4 gennaio a sostenere i “rispettivi” candidati (Jon Ossoff e Raphael Warnock per i Dem; David Perdue e Kelly Loeffler per il Gop).

Intanto nella giornata del 3 gennaio si è insediato il 117° Congresso americano e Nancy Pelosi è stata rieletta speaker della Camera dei Rappresentanti. Mercoledì il Congresso di Washington si riunirà in  sessione congiunta per la conta formale dei voti, che confermerà il risultato del 14 dicembre del Collegio elettorale. Quello che di norma è una formalità, potrebbe però incontrare qualche intoppo dato che dodici senatori repubblicani, tra i quali Ted Cruz, hanno annunciato che contesteranno l’esito elettorale. Di per sé tale decisione avrà come unico reale effetto quello di prolungare la procedura (non a caso alcuni colleghi del Gop hanno criticato tale iniziativa). Una situazione che crea qualche problema nel Gop oltre che minare il processo democratico, alla luce anche delle recenti vicende che riguardano il presidente Trump.

 

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