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Un nuovo modo di lavorare: smart working promosso (ma non da tutti)

Secondo l’indagine Eurispes «Un anno di Covid in Italia» il 66,2% degli italiani si dice soddisfatto rispetto all’organizzazione del lavoro, ma non pochi lavoratori hanno lamentato alcune difficoltà

di Redazione

Il 66,2% di chi ha lavorato in smart working si dice soddisfatto rispetto all’organizzazione del lavoro, il 62% riguardo alla gestione dei tempi e degli orari. Più della metà del campione si è inoltre trovato bene nel coordinamento con i colleghi (57,5%), con i superiori (56,4%) e con il carico di lavoro (56,2%). L’indagine Eurispes sull’anno di Covid, vissuto perlopiù tra le mura domestiche, affronta anche il tema del cambio di abitudini, a partire proprio da quelle lavorative che hanno visto (e vedono ancora) molti lavoratori svolgere le proprie mansioni da casa. Se prevalgono le esperienze positive, osserva però l’Eurispes, va anche sottolineata la percentuale non trascurabile di lavoratori a distanza che si sono trovati in difficoltà: in particolare, il 18,7% si dice per nulla soddisfatto del coordinamento con i superiori, il 18,3% del carico di lavoro. I monogenitori con figli (78,6%) e le coppie con figli (62,7%) sono i più soddisfatti dello smart working in relazione alla gestione dei tempi e degli orari.

Prima del 2020 – ricorda l’istituto di ricerca – lo smart working era ancora poco diffuso in Italia, regolato da una legge di recente approvazione (legge 81 del 2017). Le resistenze sono di natura culturale, ma anche legate all’arretratezza del nostro paese nel campo della digitalizzazione. Nel periodo considerato, tra coloro che lavorano, quasi la metà (49%) lo ha fatto in smart working dall’inizio dell’emergenza sanitaria: il 22,8% sempre o per un lungo periodo, il 26,2% occasionalmente/con turnazione/per un breve periodo. Il 4,9% dei lavoratori dichiara che già lavorava in questa modalità prima della pandemia, mentre il 46,1% risponde negativamente.

L’analisi dei dati per area geografica di residenza mette in luce situazioni differenti: la pandemia ha portato a lavorare a distanza soprattutto i residenti al Sud (il 31,8% sempre o per un lungo periodo, il 25,2% in modo temporaneo) e al Nord (al Nord-Ovest 24,2% sempre e 28,4% temporaneamente; al Nord-Est 22,4% e 26,5%). Lo smart working ha dunque coinvolto la maggioranza dei lavoratori al Sud e al Nord-Ovest, mentre la quota più contenuta si registra nelle Isole, dove il 12,8% già lavorava in questa modalità e il 50% non la ha adottata neppure con l’arrivo della pandemia. Intermedia la posizione dei lavoratori del Centro Italia: quattro su dieci hanno iniziato a lavorare in smart working (13,8% sempre, 27% temporaneamente/occasionalmente), il 55% non lo ha fatto neppure in emergenza.

La professione ha ovviamente un peso sulla possibilità di lavorare in smart oppure no. Con l’emergenza sanitaria, dice ancora l’Eurispes, hanno usufruito dello smart working la maggioranza degli impiegati (66,2%), dei dirigenti/direttivi/quadri (65,1%, ben il 46,3% sempre o per un lungo periodo), dei liberi professionisti (62,4%). Valori non trascurabili riguardano lavoratori autonomi (45,6%), imprenditori (41,8%) e Forze dell’ordine/militari (37,5%). Le percentuali più basse si trovano, comprensibilmente, tra operai (12,4%) e commercianti (13%). Lavoratori autonomi e liberi professionisti fanno registrare le quote più alte di soggetti in smart working già prima dell’inizio della pandemia (rispettivamente il 12,6% ed il 10,3%).

 

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