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Il mondo post-pandemia. Come sarà il lavoro del futuro?

Negli Stati Uniti la chiamano Great Resignation: sempre più persone lasciano il posto di lavoro. La pandemia ha modificato il modo di lavorare e si va, in molti casi, verso una nuova idea di normalità

di Redazione

Quali prospettive per il lavoro del futuro? È un tema che, già su queste pagine, affrontammo nel pieno della prima ondata della pandemia, quando ancora i vaccini anti-Covid erano un miraggio e il “ritorno alla normalità” era un concetto troppo incerto per stabilire tempi e modalità. Non che l’emergenza sanitaria possa dirsi conclusa, ma la situazione è oggi meno allarmante ed escludendo alcuni scenari che potrebbero destare preoccupazione, in Europa come negli Stati Uniti, le città si stanno ripopolando, gli uffici tornano a riempirsi, le attività economiche – comprese quelle legate all’industria dell’intrattenimento, tra le più penalizzate dai lockdown – sono ripartite o sul punto di farlo. Eppure si osservano dei cambiamenti nel mondo del lavoro tali da immaginare non tanto il “ritorno alla normalità” quanto una nuova concezione di “normalità”.

Secondo un recente studio di Microsoft su 30 mila lavoratori, il 41% starebbe considerando l’idea di dimettersi entro l’anno. Le percentuali di quanti si dicono aperti a questa possibilità salgono tra i 18-25enni, dove la quota cresce fino al 54%. È un fenomeno nel complesso osservabile tanto più negli Stati Uniti che in Europa, ma ciò non significa che il Vecchio continente ne sia esente. Anche in Italia, stando ad una ricerca LinkedIn, si è verificato qualcosa di simile, seppure in proporzioni decisamente ridotte (nel 2020, nel pieno della pandemia di coronavirus, il trend è stato esattamente l’opposto).

Negli Stati Uniti gli hanno dato un nome: Great Resignation. E non è certamente un caso se è proprio oltreoceano, dove il mercato del lavoro è meno ingessato, che si osserva in quantità superiori. Fatto sta che secondo U.S. Bureau of Labour Statistics, nel periodo estivo circa quattro milioni di lavoratori hanno rassegnato le proprie dimissioni, cioè hanno scelto volontariamente di lasciare l’azienda e il posto di lavoro. Tra le motivazioni, già allo studio di sociologi ed esperti di queste dinamiche, si rilevano due aspetti primari. La risposta al burnout da un lato – specie per quelle categorie che durante la pandemia hanno dovuto raddoppiare gli sforzi – e la consapevolezza di tante persone che specifiche attività possono essere eseguite anche a distanza, con risultati più che soddisfacenti (guadagnando tempo a disposizione e contribuendo alla sostenibilità), dall’altro.

È impossibile stabilire ora se il futuro del lavoro sarà esclusivamente fuori, o quasi, dagli uffici che conoscevamo prima della pandemia, ma appare evidente come chi abbia fatto esperienza dello smart working non sia sempre disposto a tornare indietro. Un’osservazione, questa, che vale anche per il caso italiano. Secondo la ricerca LinkedIn citata sopra, la metà degli intervistati italiani si dice favorevole a un modello ibrido, un mix tra lavoro da remoto e in ufficio. Mentre un’altra indagine, condotta dalla società di consulenza Willis Towers Watson, tra due anni il 33% dei dipendenti lavorerà soprattutto da casa, il che implica un cambio di paradigma non solo per i lavoratori, ma per le stesse aziende.
Per quanto sia difficile fare previsioni – in Italia il mercato del lavoro sta registrando una lieve ripresa negli ultimi mesi, al netto dunque di qualsiasi considerazione sull’home working o sullo smart working vero e proprio – è molto probabile, però, che, a causa degli strascichi dovuti alla pandemia, si stia andando incontro ad una nuova normalità, foriera di cambiamenti economici e sociali che, una volta a regime, modificheranno non poco le abitudini delle persone.

 

1 Commento per “Il mondo post-pandemia. Come sarà il lavoro del futuro?”

  1. […] il 23% del periodo precedente l’emergenza sanitaria). A tale proposito, c’è da ricordare che sono diversi i fattori in ballo che determineranno il lavoro del futuro. A partire proprio dallo smart working (lavoro agile propriamente detto, da non confondere, cioè, […]

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