In Italia c’è un problema con la povertà educativa
Tra la povertà educativa e quella economica c’è una connessione strettissima, che genera un circolo vizioso: nelle famiglie con livello socio-economico e culturale più basso, i giovani non hanno le stesse possibilità di chi si trova in condizioni economiche migliori
di Redazione
Oltre alla povertà, misurata in termini economici, ce n’è una seconda, altrettanto grave. Quella educativa, che in Italia è particolarmente diffusa. A denunciarlo è Save the Children, presentando “Impossibile 2022”, un rapporto che analizza cinque grandi tematiche importanti per l’infanzia – conflitti, ambiente e clima, risorse, migrazioni, povertà educativa e povertà educativa digitale –, fornendo qualche statistica che permette di fotografare una situazione, aggravata ulteriormente dallo scoppio della pandemia e dalla crisi economica.

In Italia, complice anche la recessione, il numero dei bambini in povertà assoluta (1,384mila) è il più alto degli ultimi quindici anni. Inoltre, nel nostro Paese, un bambino ha il doppio delle probabilità di vivere in povertà assoluta rispetto ad un adulto, il triplo delle probabilità rispetto a chi ha più di 65 anni.
Nel report, Save the Children riferisce che in Italia la dispersione scolastica implicita – ovvero il mancato raggiungimento del livello minimo di competenze a 15 anni – coinvolge circa la metà degli studenti (45% in italiano, 51% in matematica), perlopiù residenti nel Mezzogiorno e in famiglie con livello socio-economico e culturale più basso e background migratorio, in ogni grado scolastico.
Tra la povertà educativa e quella economica c’è una connessione strettissima, certificata anche dai dati raccolti da INVALSI 2021. Complici le difficili condizioni economiche in cui versano le rispettive famiglie, molte bambine, bambini, ragazze e ragazzi non hanno le stesse opportunità dei loro coetanei che si trovano in situazioni economiche migliori. Si crea così un circolo vizioso, dal quale è difficile uscire.
Una scarsa formazione scolastica diminuisce le chance per i giovani che intendono entrare nel mondo del lavoro. Molti di loro ne restano così fuori. Save the Children ricorda che oltre due milioni di giovani, un giovane su cinque tra i 15 e i 29 anni, non lavora, né segue corsi di formazione né studia. Si tratta dei cosiddetti Neet, che in sei regioni superano il numero dei ragazzi, della stessa fascia di età, con un’occupazione. Sul fronte occupazionale, la situazione è particolarmente critica in alcune regioni del Sud: in Sicilia, Campania, Calabria per 2 giovani occupati ce ne sono altri 3 che sono fuori dal lavoro, dalla formazione e dallo studio.