Quelle “vergogne” che non dicono nulla
Durante le festività natalizie Roma si è trovata tappezzata da due manifesti politici. Uno di centrodestra, che invitava il presidente della Provincia Zingaretti a vergognarsi, e uno di centrosinistra che invitava il sindaco Alemanno a fare altrettanto. A prescindere dal merito, è evidente che questo scambio pubblico di complimenti ha annichilito il messaggio politico che i due committenti intendevano esprimere, risolvendo l’iniziativa piuttosto in un’assoluta assenza di comunicazione col cittadino, perché di fronte a tale rimpallo di pudori evasi è molto difficile che si sviluppi la curiosità d’indagine: per capire di cosa avessero dovuto pubblicamente vergognarsi, nello specifico, i due supposti svergognati.
L’uso del termine “vergogna”, in questo caso davvero paradossale, assume rilievo generale e diffuso. Gianrico Carofiglio, in un libretto – che fosse stato un pizzico meno militante, sarebbe stato davvero da incorniciare – “La manomissione delle parole”, dà ampio conto dell’uso improprio che si fa di certi termini, in particolare in ambito politico.
E in quel libretto, insieme a “Giustizia”, “Ribellione”, “Bellezza” e “Scelta” , si dedica particolare attenzione proprio al termine “Vergogna”. Interessante è la teoria che vi si può leggere a proposito dell’assenza, nel dizionario italiano, di un termine che definisca l’assenza di vergogna e che riesca a comprenderne tutte le accezioni. “Svergogna” è un termine che in italiano non esiste (se non come voce verbale di “svergognare”) ma che in inglese invece trova definizione completa in ”shamelessness”. Un lemma che di contro trova corrispondenza in qualcosa che in italiano suona come “impudenza”, che però non è la semplice assenza di vergogna, ma qualcosa di diverso.
Abbiamo, insomma, un problema serio nel definire l’assenza di vergogna, al punto di non avere un termine unico per definire il fenomeno. Un problema che evidentemente si traduce anche in un deficit culturale e politico. I due manifesti di cui parlavamo, in definitiva, erano in grado di muovere il meccanismo di quel sentimento, ma a differenza di quanto può spesso accadere coi politici (cioè di provare vergogna per il modo in cui ci rappresentano), escludevano completamente il destinatario. Un esempio tipico di quella politica “lontana” e che non comunica di cui si sente tanto parlare (male).