Pensioni 2026: stop a Quota 103 e Opzione Donna | più duro andare in pensione, l’uscita anticipata resta un miraggio
Legge di bilancio-T-mag.it (Pexels)
La Legge di Bilancio 2026 segna lo stop a Quota 103 e Opzione Donna, due strumenti che negli ultimi anni avevano permesso il pensionamento anticipato: per migliaia di lavoratori, il ritiro dal lavoro tornerà a seguire criteri più rigidi e difficili da soddisfare.
Il Governo ha chiarito che per il 2026 non è prevista la proroga delle due misure. Quota 103 — che consentiva l’uscita a 62 anni con almeno 41 anni di contributi — esce di scena, così come Opzione Donna, riservata alle lavoratrici caregiver, disoccupate, invalide o coinvolte in crisi aziendali. La loro eliminazione riporta il sistema previdenziale verso un’impostazione più restrittiva, rendendo l’**uscita anticipata** una possibilità destinata solo a casi molto specifici. Nella manovra si sottolinea che la sostenibilità del sistema richiede scelte strutturali, non deroghe temporanee.
Molti lavoratori avevano costruito le proprie aspettative sulle due misure, soprattutto dopo anni segnati da continue modifiche normative. Ora, con il ritorno alle regole standard, aumenta il rischio che i progetti di pensionamento vadano rimodulati. I tecnici ricordano che i requisiti ordinari della Legge Fornero restano la base di riferimento e sono di gran lunga più severi rispetto alle formule sperimentali eliminate.
Cosa cambia davvero per chi puntava al pensionamento anticipato
L’abolizione di Quota 103 comporta la scomparsa dell’unica formula “flessibile” che, negli ultimi anni, aveva permesso a molti di anticipare l’uscita rispetto ai 67 anni della pensione di vecchiaia. Chi non rientra in categorie speciali dovrà quindi contare soltanto sulle vie ordinarie: pensione di vecchiaia a 67 anni con almeno 20 anni di contributi, oppure pensione anticipata ordinaria con 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. Sono soglie che pochi riescono a raggiungere prima dei 60 anni, motivo per cui l’età effettiva di pensionamento tenderà ad aumentare.
Opzione Donna esce anch’essa dal quadro dopo anni di limature e restrizioni. Originariamente molto più ampia, negli ultimi anni era stata ridotta a una platea ristretta: caregiver, disoccupate di lungo corso, invalide almeno al 74% o lavoratrici coinvolte in tavoli di crisi. La sua cancellazione toglie l’unica possibilità di pensionamento anticipato contributivo riservato alle donne, uno strumento che, pur prevedendo un assegno ridotto, garantiva una via d’uscita anticipata per migliaia di lavoratrici. Senza questa misura, la distanza tra età di pensionamento maschile e femminile torna a uniformarsi verso l’alto.

Le poche eccezioni rimaste e chi può ancora sperare
Nonostante la stretta generale, alcune possibilità di flessibilità restano attive. Per i lavoratori impiegati in attività usuranti o gravose sopravvive un canale dedicato, che permette l’uscita con requisiti più bassi rispetto alla pensione anticipata ordinaria. Rimane anche l’APE Sociale, pensata per invalidi, caregiver, disoccupati in età avanzata e lavoratori che svolgono mansioni particolarmente pesanti: uno strumento che però non concede pensionamenti “pieni”, ma un sostegno fino al raggiungimento dei requisiti ordinari. Ciò significa che solo chi rientra in situazioni di fragilità o lavori particolarmente pesanti può ancora ritirarsi prima.
Un altro elemento significativo riguarda le salvaguardie per chi ha già maturato i requisiti entro il 31 dicembre 2025. In questi casi, il diritto resta cristallizzato: chi aveva raggiunto Quota 103 o i criteri di Opzione Donna potrà ancora accedere alla misura negli anni successivi. Si tratta però di un gruppo ristretto, non ampliabile, e destinato a ridursi con il passare del tempo. Per tutti gli altri lavoratori, il messaggio della manovra è chiaro: la flessibilità in uscita non sarà più la norma e il ritorno a un percorso previdenziale più rigido richiederà una pianificazione diversa rispetto agli anni scorsi.
