Non lavoreremo fino ai 70 anni: c’è la svolta sulle pensioni | Cosa cambia e quando

Non lavoreremo fino ai 70 anni: c’è la svolta sulle pensioni | Cosa cambia e quando

Pensione-T-mag.it (Pexels)

Il Governo ha annunciato una possibile revisione del sistema pensionistico a partire dal 2026: l’obiettivo è evitare che l’età pensionabile salga verso i 70 anni e introdurre un modello più flessibile rispetto all’attuale struttura legata alla legge Fornero.

Negli ultimi anni il tema delle pensioni è tornato centrale nel dibattito politico, complici l’aumento dell’aspettativa di vita e il rischio di un innalzamento automatico dell’età di uscita dal lavoro. Il Governo ha confermato di voler intervenire per garantire maggiore sostenibilità e allo stesso tempo evitare che i lavoratori siano costretti a rimanere occupati fino a età considerate troppo elevate. Secondo quanto riportato, l’intenzione è introdurre un modello più morbido e graduale, che permetta a chi lo desidera di accedere prima alla pensione, senza però compromettere l’equilibrio dei conti pubblici e la tenuta del sistema.

L’ipotesi su cui si starebbe lavorando ruota intorno a una riforma complessiva, che coinvolge sia i requisiti anagrafici sia le modalità di calcolo dell’assegno. Una delle priorità dichiarate è evitare che i futuri adeguamenti automatici all’aspettativa di vita facciano salire l’età pensionabile oltre i limiti attuali. Per questo il Governo punta a un meccanismo alternativo che consenta flessibilità in uscita e protegga i lavoratori più deboli, con particolare attenzione alle categorie che svolgono mansioni usuranti e a chi ha carriere discontinue. L’obiettivo è costruire un sistema che non obblighi a lavorare fino ai 70 anni, mantenendo però un equilibrio finanziario stabile.

Cosa prevede la nuova riforma: uscita flessibile e nuove soglie dal 2026

La riforma in discussione comprende la possibilità di introdurre un nuovo canale di uscita flessibile a partire dai 63-64 anni, con penalizzazioni contenute e calcolate in base alla quota contributiva maturata. Il progetto punta a sostituire gradualmente meccanismi temporanei come Quota 103 e le precedenti quote, mai diventate strumenti strutturali. Il Governo intende superare definitivamente la logica degli interventi annuali e creare un percorso stabile che consenta ai lavoratori di programmare la propria uscita dal mondo del lavoro con maggiore sicurezza.

Tra le ipotesi prese in esame vi è anche un rafforzamento dell’Ape Sociale, destinato a categorie fragili e lavori gravosi, con l’estensione della platea dei beneficiari. Potrebbero inoltre essere rivisti i criteri per accedere alla pensione anticipata contributiva, agevolando chi ha iniziato a lavorare molto presto e ha accumulato un numero elevato di anni contributivi. La linea guida resta quella di garantire un’uscita anticipata senza spingere troppo in basso l’importo dell’assegno, evitando penalizzazioni eccessive che renderebbero lo strumento poco utilizzabile. L’obiettivo è creare una riforma strutturale e stabile dal 2026, evitando proroghe continue.

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Quando arriverà la svolta e quali categorie beneficeranno di più

La svolta concreta è attesa con la Legge di Bilancio 2026, periodo nel quale il Governo conta di inserire il nuovo impianto pensionistico. Prima di quella data saranno condotti confronti tecnici e tavoli con le parti sociali per definire regole precise, platea dei beneficiari e percentuali di penalizzazione. Il nuovo sistema di flessibilità dovrebbe entrare in vigore nell’arco del 2026, consentendo un anticipo rispetto ai futuri adeguamenti dell’età pensionabile legati alla speranza di vita. In questo modo si punta a evitare un netto innalzamento verso soglie troppo elevate.

Le categorie che trarranno maggior beneficio dalla riforma saranno i lavoratori impegnati in attività usuranti, chi ha iniziato a lavorare molto giovane e chi ha subito carriere discontinue, spesso penalizzate dall’attuale sistema contributivo. Anche chi si trova a pochi anni dalla pensione vedrà maggiore chiarezza sulle modalità di uscita. La riforma punta dunque a rendere il sistema più equilibrato e meno rigido, in modo da garantire che nessun lavoratore sia costretto a rimanere occupato fino ai 70 anni e che l’uscita dal mondo del lavoro possa avvenire con tempi più ragionevoli e sostenibili.