La strage. Come i media affrontano il terrore | T-Mag | il magazine di Tecnè

La strage. Come i media affrontano il terrore

Prime pagine cambiate in extremis e grossolani errori: così i giornali italiani hanno raccontato i fatti in Norvegia

C’eravamo lasciati venerdì privi di certezze sulla bomba esplosa a Oslo e soprattutto ignari che da lì a poco sarebbe avvenuta una strage sull’isola di Utoya, nel campo estivo dei giovani laburisti, ad opera della stessa mente. Un attacco al limite dell’immaginazione che mai la Norvegia – almeno dai tempi della Seconda Guerra mondiale – aveva conosciuto. Novantatre le vittime tra Oslo e la piccola isola, stando all’ultimo bilancio. Anders Breivik, il folle autore del piano allo studio dal 2009, rischia fino a 21 anni di carcere (secondo la legge norvegese) prorogabili nel caso in cui si ritenga la sua persona una minaccia per la società. Il disegno eversivo di Breivik era sì terribile, come egli stesso ha ammesso, ma necessario, a suo dire, al fine di stravolgere un Paese troppo aperto al multiculturalismo. Un fanatico, un “fondamentalista cristiano”, è stato dipinto l’uomo – trentaduenne – l’indomani della strage.
Eppure la fretta di accollare responsabilità oggettive, ma presunte, al fondamentalismo islamico ha indotto diversi media a grossolani errori di valutazione. La Norvegia, tra i Paesi fondatori della Nato, è presente in Afghanistan. L’attacco in pieno centro a Oslo, a due passi dagli uffici governativi, era una chiara ritorsione per la politica estera norvegese, a detta di molti, così da mandare in stampa titoli a nove colonne, chiari e pretestuosi. Con l’Islam il buonismo non paga, scriveva Libero. Il Giornale è riuscito a rimediare in extremis. La prima pagina diffusa dal quotidiano diretto da Alessandro Sallusti titolava: Sono sempre loro, ci attaccano. Ma una volta accantonata l’idea che l’attentato fosse ad opera di terroristi islamici Il Giornale ha optato, giusto in tempo, per un più sobrio Attacco sanguinoso, strage in Norvegia.
Successivamente, abbandonata la pista islamica, i profili su internet di Breivik sono stati passati al setaccio. La citazione su Twitter di John Stuart Mill tratta dalle Considerazioni sul governo rappresentativo del 1861, ad esempio, o anche le preferenze elencate sul proprio profilo Facebook (Il Corriere della Sera ha dedicato un ampio spazio all’argomento), dai film Il Gladiatore e 300 passando per i personaggi Niccolò Machiavelli e Winston Churchill. L’attenzione si è però focalizzata su un’altra sua passione, quella per i videogames sparatutto. Come se di per sé una consolle celi in ognuno di noi un potenziale killer.
A far discutere nella giornata di lunedì, inoltre, è stato l’editoriale di Vittorio Feltri, sempre sul Giornale. Secondo Feltri una parte di responsabilità per quanto accaduto a Utoya è da addossare ai giovani presenti sull’isola (per lo più 15-16enni) in quanto egoisticamente dediti a salvare la propria di pelle anziché affrontare l’uomo, per l’occasione vestito da finto poliziotto, tutti insieme. Qualcuno non ne sarebbe uscito vivo, inevitabilmente, ma almeno la carneficina sarebbe stata evitata. Questa, in soldoni, la riflessione di Feltri.
Al di là della retorica e della spasmodica ricerca di una motivazione che appaia minimamente razionale su quanto accaduto (domenica Pierluigi Battista sul Corriere ammoniva la “guerra delle interpretazioni”) l’insegnamento più grande proviene dalla Norvegia colpita al cuore. Il primo ministro, Jens Stontelberg, ha dichiarato dopo i funerali delle vittime che “la nostra risposta sarà più libertà e più democrazia, più umanità, ma non saremo mai ingenui”, mentre il sindaco di Oslo, Fabian Stang, ha esortato un maggiore insegnamento del rispetto. Tanto basta, a nostro avviso, a rendere quello norvegese il modello da esportare nel resto d’Europa.

 

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