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Tensioni geopolitiche e inflazione, così il quadro internazionale

Prosegue la fase di rallentamento dell’economia internazionale, peggiorano le prospettive per l’area dell’euro

di Redazione

Le tensioni geopolitiche, le conseguenti pressioni inflazionistiche e il cambio di intonazione delle politiche economiche sono gli elementi alla base del rallentamento dell’attività a livello mondiale, che prosegue come osserva l’Istat nella consueta Nota sull’andamento dell’economia italiana nella parte che riguarda il quadro internazionale. Le previsioni più recenti del Fondo Monetario internazionale (FMI), osserva l’Istat, hanno rivisto al ribasso le stime di crescita del Pil mondiale (+3,6%, +6,1% nel 2021). A febbraio, il commercio mondiale di beni in volume è aumentato moderatamente (+0,3%, +0,5% a gennaio), ma le prospettive restano negative, come indicato dal PMI globale sui nuovi ordinativi all’export di aprile nuovamente sotto la soglia di espansione. Nelle ultime settimane, la prosecuzione del conflitto tra Russia e Ucraina e l’incertezza circa la sua evoluzione e durata hanno continuato a mantenere elevate le quotazioni delle commodity energetiche, in particolare del gas naturale e del petrolio che ad aprile hanno segnato moderati cali rispetto al mese precedente a causa di aumenti dell’offerta.

In Cina, tra gennaio e marzo il Pil è aumentato dell’1,3% in termini congiunturali, in decelerazione rispetto al trimestre precedente (1,6%). Secondo le più recenti stime del FMI il paese, quest’anno, crescerà del 4,4% (8,1% nel 2021). I dati di aprile segnalano un ulteriore rallentamento dell’economia causato anche dalle nuove misure di lockdown approvate dal governo per contenere il riacutizzarsi dei contagi. Il Pmi manifatturiero è ulteriormente diminuito e per il secondo mese consecutivo si è collocato sotto la soglia di espansione. Nello stesso mese, anche il Pmi dei servizi è caduto di quasi sette punti.

Negli Stati Uniti, la stima preliminare del Pil per il primo trimestre ha mostrato un’inaspettata flessione congiunturale (-0,4%, +1,6% nei tre mesi precedenti). Si tratta del primo calo da circa due anni. L’andamento è stato condizionato dai contributi negativi delle esportazioni nette e delle scorte superiori all’apporto positivo della domanda interna. Come atteso, ad aprile la Federal Reserve ha alzato ulteriormente i tassi di interesse di 50 punti base per contrastare l’inflazione crescente (+8,5% a marzo i prezzi al consumo). L’intonazione progressivamente più restrittiva della politica monetaria attesa dai mercati ha rafforzato il dollaro che, in media, ad aprile è stato scambiato a 1,08 euro (1,10 dollari per euro a marzo). Nello stesso mese, la fiducia dei consumatori rilevata dal Conference Board ha segnato una marginale flessione.

Nell’area dell’euro, nei primi tre mesi dell’anno, il Pil è aumento dello 0,2% in termini congiunturali, in marginale decelerazione rispetto al trimestre precedente (+0,3%). Nel dettaglio nazionale, in Germania e Spagna il Pil è cresciuto rispettivamente dello 0,2% e dello 0,3%, in Francia si è mantenuto sui livelli del trimestre precedente, mentre in Italia è diminuito dello 0,2%. Le stime del FMI della variazione del Pil di quest’anno nell’area euro sono state riviste consistentemente al ribasso, attestandosi a +2,8% (-1,1 punti percentuali rispetto alla precedente previsione), riflettendo gli impatti dell’invasione della Russia. L’inflazione euro ha continuato ad accelerare: ad aprile gli aumenti tendenziali dell’indice headline (7,5%) e di quello core (+3,9%) hanno raggiunto nuovi massimi. L’evoluzione dei prezzi energetici (+38%) ha spiegato direttamente la metà dell’inflazione tendenziale osservata, ma i rialzi sono stati diffusi a quasi tutte le componenti. A marzo, il tasso di disoccupazione è sceso al 6,8% e le vendite al dettaglio sono diminuite dello 0,4% in volume.

Le prospettive per l’area sono peggiorate ulteriormente. L’indice composito ESI della Commissione europea, tuttavia, pur registrando una decisa flessione, ad aprile è rimasto, sopra la media di lungo periodo. I cali più ampi si sono avuti per il commercio al dettaglio, l’industria, le costruzioni e i consumatori, mentre l’indicatore dei servizi è rimasto invariato.

 

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