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Un anno da dimenticare per l’informazione

Non è stato un anno particolarmente positivo per i giornalisti nel mondo. Solo nel 2012 ne sono morti 88 di quelli impegnati nelle zone di conflitto. Si tratta del numero più elevato dal 1995, vale a dire dal primo bilancio annuale redatto da Reporter senza frontiere.
La maggior parte dei giornalisti morti lavorava in Siria, Somalia o Pakistan. Ed è la Siria in particolare, dove da oltre un anno è in atto una vera e propria guerra civile contro il regime di Bashar al Assad, ad essere considerata un “cimitero” dell’informazione. Qui, infatti, sono morti 17 giornalisti e 44 cittadini-cronisti. “La quantità storicamente elevata dei giornalisti uccisi nel 2012 è da attribuire principalmente al conflitto in Siria, al caos in Somalia e alla violenza dei talebani in Pakistan”, ha spiegato nei giorni scorsi Christophe Deloire, segretario generale di Reporter senza frontiere. “L’impunità di cui godono gli autori degli abusi – ha quindi aggiunto Deloire – incoraggia la violazione dei diritti umani, in particolare della libertà di informazione”.
È in Turchia, invece, che gli operatori dell’informazione rischiano di più il carcere. Sono 72 i giornalisti in carcere, dei quali 42 per motivazioni strettamente legate al loro lavoro. La “scusa” degli arresti riguarda la lotta al terrorismo, più precisamente la questione curda. In Cina sono 30 i giornalisti in carcere, mentre in Eritrea i 28 cronisti già imprigionati non hanno ancora avuto un processo.

 

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