Crisi e disoccupazione: così Grecia, Spagna e Italia
Le misure di austerità approvate dal Parlamento di Atene permetteranno alla Grecia di rifiatare e di ottenere da Ue, Fmi e Bce i 130 miliardi di euro previsti per il piano di salvataggio. L’extrema ratio per il governo di Lucas Papademos che ha tirato dritto – pur di scongiurare la bancarotta – nonostante le defezioni di ministri e sottosegretari (tra i quali il viceministro degli Esteri, Marilisa Xenogiannakopoulou, vicina all’ex premier George Papandreou) e le violenti proteste di piazza Syntagma. Del resto Papademos aveva ammesso in tv senza troppi giri di parole: “Siamo giunti al punto zero. Queste misure ci evitano il fallimento incontrollato, che porterebbe il Paese alla catastrofe”.
Una catastrofe da cui deriverebbero ripercussioni sull’intera eurozona (Atene rappresenta il 2% del Pil e il 3% del suo debito).
La manovra greca per uscire dalla crisi è di quelle definite in questi casi “lacrime e sangue”: agli ingenti tagli alla spesa pubblica corrispondono cospicui aumenti delle entrate. La soglia di esenzione dalle imposte sul reddito è stata abbassata fino a cinquemila euro, è prevista una tassa di solidarietà tra l’1 e il 5% sui redditi del 2011, l’Iva è aumentata vertiginosamente dal 13 al 23% ed è stata inoltre introdotta una nuova Ici. Tutto ciò a fronte di un taglio del 40% degli stipendi medi del pubblico impiego, l’eliminazione di 57 Province, la riduzione dei Comuni (da 1.034 a 325) pari al licenziamento di 15 mila dipendenti entro la fine dell’anno. Tuttavia, alla vigilia del sofferto voto in Parlamento, l’Ue si era detta non ancora del tutto soddisfatta (con la cancelliera tedesca Angela Merkel portabandiera di quanti auspicano maggiori garanzie). Al di là delle rassicurazioni sul rispetto delle decisione prese, è la voce dedicata alle pensioni che ha poco convinto i partener europei. I 300 milioni di euro in meno destinati alla Difesa in cambio del salvataggio delle pensioni non sono ritenuti sufficienti. È previsto un prelievo del 20% sulle quote che superano i mille euro e del 40% per i pensionati sotto i 55 anni. La Grecia, infine, è alle prese con una disoccupazione arrivata al 20,9%.
Una riforma del mercato del lavoro dedita ad una maggiore flessibilità è stata appena varata in Spagna dal governo di Mariano Rajoy al fine di contrastare la disoccupazione a livelli record (22,85%). La riforma prevede, tra le altre cose, una riduzione dell’indennità di licenziamento ridotta da 45 giorni di paga per ogni anno lavorato a 33 giorni. Ed è stata inoltre semplificata ed estesa la facoltà per le imprese di ricorrere ai licenziamenti in caso di perdite permanenti, temporanee o congiunturali. Le pmi in Spagna rappresentano il 90% dell’occupazione. Il governo ha deciso di fare adottare un contratto a tempo indeterminato per le imprese con meno di 50 lavoratori, con agevolazioni fiscali di tremila euro per incentivare l’assunzione di giovani sotto i 30 anni. Sono 5,3 milioni i cittadini spagnoli senza lavoro.
Al contrario di accostamenti forse fuorvianti, l’Italia è il Paese che ha compiuto i maggiori passi in avanti. La disoccupazione non è ai livelli di Grecia e Spagna, ma rappresenta comunque un problema, soprattutto per i giovani bloccati da un mercato del lavoro piuttosto ingessato. Per queste ragioni è allo studio una riforma che, secondo le intenzioni espresse dal ministro Elsa Fornero, sarà varata con ogni probabilità nel mese di marzo. Si punta ad una maggiore flessibilità, sia in entrata che in uscita. E per concedere ulteriori tutele ai lavoratori (nonché incrementare l’occupazione giovanile e femminile, le categorie che più risentono delle attuali difficoltà) in aggiunta è sul tavolo una riforma degli ammortizzatori sociali. Il governo, intanto, ha varato misure che introducono liberalizzazioni e semplificazioni volte da un lato a rilanciare l’economia e dall’altro a snellire e a rendere più efficiente la pubblica amministrazione.