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Gli effetti dell’occupazione non tradizionale

lavoro neroTra le conseguenze dirette della crisi economica, l’accresciuto divario tra ricchi e poveri è senza dubbio uno dei più gravi. Perché deve essere chiaro che il problema non è esclusivamente “sociale”, bensì economico.
I paesi cosiddetti emergenti sono i più colpiti in questo senso. La loro crescita sta registrando una brusca frenata, ostacolando così quel processo di sviluppo complessivo che dovrebbe far diminuire la povertà e mettere i cittadini in condizioni di avere davanti a sé migliori prospettive occupazionali e di benessere collettivo. Ma il problema non riguarda soltanto i paesi in via di sviluppo. Secondo l’Ocse, infatti, anche gli Stati Uniti presentano una differenza molto marcata in compagnia di Messico e Turchia (i paesi più virtuosi, al contrario, sono Danimarca, Slovenia, Slovacchia e Norvegia).
In generale accade che il 10% più ricco della popolazione guadagna 9,6 volte quel che guadagna il 10% più povero, ampliando in maniera più grave la differenza tra diverse classi sociali: nella maggior parte dei 34 paesi appartenenti all’area Ocse il divario di reddito è ai massimi.
Le cause sono da ricercarsi soprattutto nel mercato del lavoro, che in varie parti del mondo ha subìto un notevole deterioramento, tra precariato diffuso, sottoccupati, impieghi scarsamente retribuiti. Per rendere meglio l’idea: dal 1995 al 2013 più della metà dei posti di lavoro creati risultavano essere di tipo part-time, a tempo determinato o autonomi.
Dunque non è la sola disoccupazione a generare differenze. Proprio gli Stati Uniti fanno scuola, presentando un tasso di disoccupazione relativamente basso (ora al 5,5%, in crescita dello 0,1% rispetto al dato precedente) e nonostante i posti di lavoro creati negli ultimi tempi. A maggio sono stati 280 mila, più delle attese e in aumento rispetto al dato di aprile (221 mila). La buona notizia, semmai, è che sono tornati a crescere anche i salari, sebbene di poco.
E l’Italia? In verità non se la passa troppo male. A livello di diseguaglianze siamo qualche gradino sotto Francia e Germania, ma meglio di Spagna e Regno Unito. Se però, anche da noi, negli anni della crisi è aumentato il divario ricchi-poveri è perché nel medesimo arco temporale è cresciuto il ricorso all’occupazione non tradizionale, con il risultato di compensi più bassi e ridotto potere d’acquisto. L’Italia, dice l’Ocse, segue la Grecia per quanto riguarda le famiglie in cui i lavoratori sono non tradizionali sul totale delle famiglie povere.
Per invertire la rotta è opportuno che il trend in crescita di attivazione di nuovi contratti stabili si consolidi. Come a dire: è necessario (anche) rilanciare l’occupazione di qualità per riagganciare il treno della ripresa e scongiurare il rischio di una “povertà strutturale”.

(articolo pubblicato il 16 giugno su Tgcom24)

 

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