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La crescita economica nonostante Brexit

Per adesso il pessimismo è smentito dai numeri. Ma non si può escludere un peggioramento nel prossimo futuro
di Redazione

Gli scenari nefasti che anticiparono il referendum britannico di giugno sulla permamenza o meno del Regno Unito nell’Ue, oggi sembrano preoccupare meno. I fondamentali dell’economia britannica mostrano solidità e anche la crescita dell’Eurozona non ha subito particolari contraccolpi. Ma c’è da considerare un contesto internazionale favorevole e un iter per l’uscita dall’Unione europea che di fatto non è ancora cominciato.

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Nell’ultimo outlook di Istat-Insee-Ifo si osserva, nel terzo trimestre 2016, un andamento dell’economia positivo, in miglioramento rispetto ai trimestri precedenti. La crescita è stata trainata molto dagli Stati Uniti, ma anche l’economia giapponese e di molti paesi emergenti è risultata più vivace. In tale contesto si colloca la crescita dell’Eurozona (+0,3% nel periodo di riferimento), che dunque non ha risentito degli esiti del referendum in Gran Bretagna come precedentemente temuto.
A ben vedere, però, è la Gran Bretagna, soprattutto, a non aver mostrato segni di cedimento. Sempre nel terzo trimestre, infatti, il Pil del Regno Unito è cresciuto dello 0,6% (allo stesso ritmo del periodo precedente e in rialzo sul +0,2% della prima parte dell’anno), consolidando la crescita su base annua (+2,2%). Un dato negativo è giunto tuttavia dalla componente estera, con l’export in calo secondo l’ultima analisi Ocse. Il mercato del lavoro, invece, ha continuato a segnare progressi, pur in presenza di un leggero aumento degli inattivi. Nello specifico il tasso di disoccupazione è sceso al 4,8% nei tre mesi successivi alla Brexit, il valore più basso dal 2005. Anche la produzione industriale – indicatore molto utile per misurare lo stato di un’economia – ha registrato a novembre un progresso del 2,1% e del 2% su base annua, ben sopra le attese, con un balzo in avanti per la produzione manifatturiera dell’1,3% rispetto al mese di ottobre e dell’1,2% sull’anno.
Tutto bene, quindi? Dipende. Le trattative per l’uscita del Regno Unito dall’Ue cominceranno nei prossimi mesi. Le possibilità di “soft Brexit” o “hard Brexit” (nel primo caso l’uscita dalle istituzioni europee non comprenderà una completa esclusione dal mercato unico) potranno avere un impatto più o meno positivo o negativo sull’economia (alcune imprese, data l’incertezza, hanno già deciso di diminuire gli investimenti). In più la svalutazione della sterlina – tra i primi effetti tangibili della Brexit – potrebbe ridurre ulteriormente il potere d’acquisto (contraendo perciò i consumi) a causa dell’inflazione. Che secondo le stime della Banca d’Inghilterra dallo 0,6% di luglio potrebbe avvicinarsi quest’anno al 3%.

 

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