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Gli open space danneggiano i lavoratori?

In principio si riteneva che lavorare in un ambiente condiviso potesse favorire la comunicazione diretta, la collaborazione e lo scambio di idee tra i colleghi. Oggi alcuni recenti studi sconfesserebbero questo paradigma
di Silvia Capone

Le tecnologie e le forme di lavoro che ne derivano influiscono anche sugli spazi di lavoro, così come si sta diffondendo lo smart working, si sta modificando l’idea su quel che fino a qualche anno fa era considerato il massimo della modernizzazione in campo di organizzazione dello spazio lavorativo: l’open space. Il concetto ideato a metà anni ’60 rispondeva ad una nuova leadership che si stava diffondendo, non più fondata sulla coercizione e il potere, ma sulla collaborazione e il dialogo, quindi lo spazio dell’ufficio così organizzato, senza porte chiuse e separazioni gerarchiche diventava sinonimo di open mind. Gli uffici non designavano più una precisa posizione nella scala lavorativa, metaforicamente tutti erano messi nelle stesse condizioni.

La nuova organizzazione dello spazio lavorativo aveva più funzioni, oltre che a trasmettere una determinata linea dirigenziale, rispondeva a bisogni economici – infatti un grande open space è più conveniente di molte stanze singole – ed era un modello accreditato da molte teorie secondo cui lavorare in un ambiente condiviso favorisce la comunicazione diretta, la collaborazione e lo scambio di idee tra i colleghi e di conseguenza la produttività sia personale che per l’azienda tutta. Infatti oltre che un vantaggio dato appunto dalla più facile possibilità di chiedere un confronto, gli open space favorirebbero la creazione di spirito di squadra e senso di appartenenza.

I più recenti studi invece oltre ad enfatizzare gli aspetti negativi quali la mancanza di privacy o l’esposizione a più distrazioni, mettono in dubbio anche il cardine su cui puntava l’open space, ovvero la collaborazione tra i lavoratori. Secondo un nuovo studio che ha monitorato le attività di alcuni dipendenti attraverso dispositivi elettronici e microfoni condotto dalla Harvard Business School, pubblicato sulla rivista scientifica Philosophical Transactions of the Royal Society B, questa l’organizzazione dello spazio porterebbe a risultati negativi, si registravano infatti il -73% di conversazioni in meno e anzi, favoriva del 67% le conversazioni via mail anche per i vicini di scrivania, come risposta naturale a crearsi un proprio spazio. La mancanza di privacy ha portato i lavoratori a isolarsi per non avere distrazioni date dai rumori esterni e in casi estremi anche a causare un aumento della sfiducia tra colleghi, nonché una sfiducia nel supervisore, stando alle ricerca condotta dalla Auckland University of Technology.

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