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Le tensioni tra Usa e Iran non si allentano

A risentirne è l’economia iraniana (nel 2019 il Prodotto interno lordo potrebbe contrarsi del 9,3%) ma anche l’export italiano

di Redazione

«Mister Razzo». Così il presidente iraniano Hassan Rohani si è rivolto al suo omologo statunitense, Donald Trump, presentando il nuovo sistema anti-missilistico della Repubblica islamica.

Al netto della retorica – tanto i leader iraniani quanto quelli statunitensi hanno utilizzato spesso termini molto duri per rivolgersi alla controparte –, i rapporti tra i due Paesi si sono incrinati notevolmente con l’elezione di Trump, dopo la distensione voluta dal suo predecessore Barack Obama. A trarne vantaggio l’asse saudita-israeliano, che ha ritrovato un prezioso alleato nello scontro con la Repubblica islamica, avversaria per l’egemonia nella regione per i primi e nemico esistenziale per i secondi. La “guerra delle petroliere” nello stretto di Hormuz e in quello di Gibilterra ha rappresentato il punto più critico.

Il 20 giugno, invece, il momento più delicato della crisi: il presidente Trump aveva approvato in un primo momento un intervento militare in seguito all’abbattimento di un drone statunitense, per poi tornare in seguito sui suoi passi, motivando che la risposta non sarebbe stata proporzionata e avrebbe potuto coinvolgere un numero elevato di civili. Ai missili, gli Usa hanno preferito un altro tipo di “arma”.

In poco più di un anno – Trump ha annunciato l’uscita (unilaterale) degli Stati Uniti dal JCPOA l’8 maggio 2018 –, le sanzioni imposte dagli Usa – obiettivo: costringere Teheran ad accettare un nuovo accordo più restrittivo rispetto a quello sottoscritto a Vienna nel 2015 – potrebbero aver avuto effetti durissimi sull’economia iraniana: secondo l’ultima revisione del World Economic Forum del Fondo monetario internazionale, una parte del quale è stata anticipata dal quotidiano Financial Times, il Prodotto interno lordo iraniano potrebbe contrarsi del 9,3% – nel 2018 il calo è stato del 4% –, in ribasso rispetto al -6% stimato in precedenza dal FMI ad aprile. Ad incidere notevolmente è stata la rimozione delle moratorie che avevano permesso ai maggiori importatori di petrolio iraniano di continuare ad acquistare il greggio iraniano. Una performance simile a quelle registrate durante la guerra con l’Iraq: nel 1984 il PIL si contrasse del 9,9%, nel 1986 del 9 e del 9,5% nel 1988.

Il cambio di rotta statunitense ha effetti anche sull’Italia: tra gennaio e aprile 2019 le imprese italiane hanno esportato beni per 211 milioni di euro, in calo rispetto ai 531 milioni dello stesso periodo dell’anno precedente. Nel 2018 l’export italiano ha raggiunto i 1,68 miliardi di euro (il dato è un elaborazione dell’ambasciata d’Italia sui dati dell’Agenzia ICE di fonte ISTAT).

Non a caso l’Export Opportunity Index iraniano – un indice calcolato dal SACE attraverso la ponderazione di quattro variabili: totale beni esportati dall’Italia nel Paese in valore, tasso di crescita medio dell’export italiano verso il Paese, concentrazione delle importazioni nel Paese e quota dell’Italia sull’import del Paese – è il più basso tra i Paesi dell’area mediorientale-nord africana. Peggio fa solo la Libia.

In occasione della cerimonia della consegna delle credenziali del nuovo ambasciatore italiano in Iran, la presidenza iraniana ha ribadito di voler «impedire che le sanzioni unilaterali, illegali degli Stati Uniti abbiano conseguenze sulle relazioni tra Italia e Iran: siamo determinati a sviluppare le relazioni amichevoli e di lunga data con l’Italia, ritenendo che sia di beneficio per entrambe le nazioni».

 

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