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Eurozona, torna il Quantitative Easing

Lo ha annunciato Mario Draghi, ormai prossimo a lasciare la guida della BCE: programma da 20 miliardi di euro di titoli al mese «fino a che sarà necessario». La fragilità dell’economia alla base della decisione

di Redazione

I mercati festaggiano, Piazza Affari vola: la Banca centrale europea ha annunciato che, a partire, da novembre verrà riavviato il Quantitative Easing, il programma di acquisto di titoli di Stato che era stato interrotto all’inizio di quest’anno dopo un rallentamento graduale cominciato nel 2018. Si tratta dell’ultima decisione presa dal presidente della BCE, Mario Draghi, il quale proprio a novembre lascerà il posto alla presidente del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde. La nuova iniezione di liquidità consisterà in 20 miliardi di euro di titoli al mese «fino a che sarà necessario», una formula che fa capire come l’istituto di Francoforte a guida Lagarde sarà piuttosto in linea con le politiche monetarie adottate da Draghi e dall’attuale Consiglio direttivo.

Il Quantitative Easing – da ora QE per comodità – venne intrapreso, la prima volta nel 2015, sulla spinta di alcune esigenze. La prima era contrastare la deflazione, ovvero la diminuzione del livello generale dei prezzi a causa della debolezza della domanda di beni e servizi (che si traduce in ripercussioni negative sull’economia, in particolare per produzione e occupazione). Prerogativa della BCE, infatti, è mantenere il livello dell’inflazione prossimo al 2%. La seconda era stimolare l’economia dell’Eurozona, che si trovava in una prolungata fase stagnante dopo gli anni di crisi profonda. Il programma è proseguito a lungo al ritmo di 60 miliardi di euro al mese (ampliato a 80 miliardi a inizio 2016 e di nuovo a 60 alla fine dello stesso anno), per poi essere dimezzato verso la fine del 2017.

Dunque, stavolta, l’entità del QE sarà inferiore, anche perché diversi sono i presupposti. Se in principio l’obiettivo ultimo era favorire le imprese e le famiglie, quindi migliorare i livelli occupazionali e far ripartire la domanda interna, in questo caso all’orizzonte c’è la volontà di contrastare il pericolo recessione che si teme possa arrivare entro la fine dell’anno.

Per l’Italia, l’iniziativa della BCE rappresenta un’ottima notizia. In un quadro di rallentamento generale che sta colpendo anche le economie più avanzate – su tutti, restando in Europa, la Germania: l’istituto Ifo ha tagliato le previsioni di crescita di quest’anno e del prossimo, produzione industriale ed export in calo –, il nostro paese si conferma per crescita alle ultime posizioni, su valori in flessione rispetto a quelli registrati negli anni della (faticosa) risalita.

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A questo si devono aggiungere, però, le dinamiche inflazionistiche: i prezzi non si sono stabilizzati in maniera omogenea ovunque. Già al termine della riunione del 25 luglio, il Consiglio direttivo aveva comunicato di avere dato mandato ai comitati pertinenti dell’Eurosistema «di esaminare possibili opzioni, fra cui modalità atte a rafforzare le proprie indicazioni prospettiche in merito ai tassi di interesse di riferimento, misure di attenuazione, come l’elaborazione di un sistema a più livelli per la remunerazione delle riserve, e possibili opzioni riguardo a dimensioni e composizione di eventuali nuovi acquisti netti di attività». Il QE, insomma, era nell’aria, visto il mancato raggiungimento di un inflazione prossima al 2% in tutta l’Eurozona. Per Draghi, aveva spiegato in quell’occasione, era necessario «un significativo livello di stimoli monetari affinché le condizioni finanziarie rimangano molto favorevoli e sostengano l’espansione dell’area dell’euro, continuino a far rialzare i prezzi e lo sviluppo dell’inflazione sottostante nel medio termine». Anche perché, aveva proseguito, «i rischi per le prospettive di espansione nell’area dell’euro restano orientati al ribasso per via della prolungata presenza di incertezze connesse a fattori geopolitici, alla crescente minaccia del protezionismo e alle vulnerabilità».

E a proposito di protezionismo, non è casuale la posizione stizzita espressa dal presidente americano, Donald Trump, sulle decisioni di Francoforte: «La Banca centrale europea – ha scritto via Twitter –, agendo rapidamente, taglia i tassi di 10 punti base. Stanno tentando, e con successo, di svalutare l’euro contro il dollaro molto forte, danneggiando l’export Usa. E la Fed sta seduta, seduta e seduta. Loro sono pagati per prestare denaro, mentre noi stiamo pagando gli interessi». Il QE ha dalla sua il deprezzamento dell’euro, che favorisce le imprese orientate all’export. Ma Draghi ha tuttavia risposto così a Trump: «Abbiamo un mandato a perseguire la stabilità dei prezzi e non abbiamo come obiettivo i tassi di cambio». In realtà Trump si rivolgeva principalmente alla Fed: il dollaro è forte e il deficit commerciale si è ampliato, una tegola per l’economia statunitense.

 

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