Giornata internazionale della Donna, l’intervento di Napolitano | T-Mag | il magazine di Tecnè

Giornata internazionale della Donna, l’intervento di Napolitano

Intervento del presidente Napolitano in occasione della celebrazione della Giornata internazionale della Donna

Signori e signore rappresentanti del Parlamento e del Governo, signora ministro Fornero, signor ministro Profumo, cari insegnanti, ragazzi e ragazze delle scuole premiate, care amiche, grazie a voi tutti per aver accettato il nostro invito. Un grazie particolare alle artiste che hanno reso più viva e sensibile questa cerimonia.
Con l’avvicinarsi di questa storica ricorrenza, si riaccendono, in ciascuno di noi e nel pubblico dibattito, le motivazioni ideali e le aspirazioni di fondo del movimento delle donne, quale si è venuto sviluppando in più di un secolo, in Italia e nel mondo : libertà, dignità, parità di diritti, pieno sviluppo della persona umana senza distinzione e discriminazione di sesso. E ci piacerebbe ripercorrere anche oggi questo vasto orizzonte ; e farlo magari partendo dalla cruda attualità di fatti che gettano luce su aspetti antichi e drammaticamente irrisolti della condizione delle donne. Come l’esposizione alla violenza e alla furia omicida di uomini che colpendo ciecamente le compagne e persino i figli rivelano una visione proprietaria e distruttiva degli affetti. Certe orribili cronache recenti e recentissime potrebbero davvero indurci a ripartire dai fondamentali del discorso sulle minacce e sulle diminuzioni che la società ancora riserva all’universo delle donne.

Ma l’esigenza che avvertiamo, di cogliere l’occasione dell’8 marzo per far avanzare concretamente l’impegno a intervenire su problemi ben determinati e di rilevante impatto sulla posizione delle donne nell’Italia di oggi, ci ha spinto a concentrare l’attenzione, in questo nostro incontro, su un tema soltanto, quello della conciliazione tra famiglia e lavoro ai fini di un più massiccio ingresso delle donne in ogni settore di attività e di una piena affermazione del ruolo che esse possono svolgervi.

Di ciò si è discusso anche nel convegno svoltosi ieri per iniziativa della Banca d’Italia, il cui governatore ha messo in evidenza la stringente necessità di combinare, in Italia come in Europa, allo sforzo in atto per il riequilibrio e la stabilizzazione della finanza pubblica, quello da compiere sul piano delle riforme strutturali – e delle politiche economico-sociali – con l’obbiettivo di suscitare crescita, intensa e duratura, di “generare elevati livelli di occupazione e progresso sociale”. E questo obbiettivo è cruciale in rapporto alle donne e nello stesso tempo ai giovani e al Mezzogiorno, dato che – come il governatore Visco ha drammaticamente rilevato – nel Sud “sono occupati meno di un giovane su quattro e solo 3 donne su 10” (e nello stesso Centro-Nord, dove il tasso di occupazione femminile è più elevato, il divario con il tasso maschile è pur tuttavia di circa 18 punti percentuali) !

Ecco in quale contesto, nazionale ed europeo, e in quale spirito è stato indetto, in vista dell’8 marzo di quest’anno, dal Ministero della Pubblica istruzione il Concorso “Il doppio ruolo della donna – lavorare in famiglia e fuori” : e mi complimento con voi che ne siete stati le vincitrici e i vincitori. Nella stessa ottica abbiamo conferito le onorificenze dell’Ordine al Merito della Repubblica alle persone cui le ho appena consegnate (e persone, grazie alla presenza di un uomo fra loro, di ambo i sessi).

So che sono qui presenti in sala tante mamme, alcune con molti figli. A voi, a tutte le madri italiane, a tutte le ragazze che vorrebbero avere figli auguro di riuscire a superare le molte difficoltà che comporta combinare famiglia e lavoro. Colgo l’occasione di questo incontro al Quirinale, dedicato proprio al tema della conciliazione tra lavoro e famiglia, per ringraziare quanti in vario modo rendono possibile ai genitori, soprattutto alle madri, di lavorare, senza avere la preoccupazione costante di sacrificare il benessere dei propri figli.

Certamente tra queste categorie benemerite va citata quella dei nonni, in particolare delle nonne, costanti dispensatrici di cure e di affetto, pronte e disponibili nelle emergenze.

Tra chi aiuta a risolvere o ad alleggerire il carico del doppio lavoro delle donne (in casa e fuori) è d’obbligo menzionare il personale scolastico degli asili nido e delle scuole materne. Poter affidare i propri figli in mani sicure ed esperte è condizione perché i genitori si dedichino al proprio lavoro con la necessaria serenità. Spetta, in particolare, agli insegnanti della prima infanzia un compito formativo che non va sottovalutato. Infatti, proprio nei primi anni di vita, come hanno dimostrato importanti ricerche empiriche, si costruiscono le fondamenta delle capacità logiche e linguistiche dei bambini, dei futuri adulti. Affiancare i genitori in questo compito, farlo fin dall’inizio, cioè quando più serve, costituisce il cardine di una società equa, in un paese che si proponga di offrire a tutti i bambini la base prima per realizzare le proprie capacità, per diventare adulti maturi e competenti. E una popolazione più abile – perché adeguatamente istruita – ha anche maggiori probabilità di raggiungere un benessere economico non effimero. Sempre che, diversamente da ciò che accade – come ha osservato il Ministro Profumo – la migliore formazione, di cui più spesso sono dotate proprio le donne, sia riconosciuta in termini di compensi e nelle carriere.

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Il rafforzamento dei servizi per la prima infanzia (cioè fino al compimento dei 3 anni) rappresenta uno degli obbiettivi posti a suo tempo dalla Commissione Europea con la Strategia di Lisbona ed è – ad eccezione di alcune eccellenze territoriali – un punto debole del sistema italiano. Mentre un’estensione dei nidi – e più in generale di servizi all’infanzia, anche solo mediati dallo Stato come avviene ad esempio in Francia – funzionerebbe da volano per l’occupazione femminile : ci sarebbero, infatti, più donne impiegate in quei servizi e più donne libere di lavorare.

Costituiscono protagonisti importanti della conciliazione e sono utili modelli da imitare quelle imprese, quelle pubbliche amministrazioni, quelle università, quelle realtà territoriali che hanno introdotto nuove figure professionali, specificamente addette a facilitare la conciliazione tra vita privata e lavorativa dei dipendenti e che hanno adottato programmi di reinserimento delle neomamme. Sono ugualmente da citare quei luoghi di lavoro in cui sono stati attivati strumenti classici di conciliazione come asili e mense aziendali, e quelli in cui sono state introdotte buone pratiche innovative ; alcune delle quali sono state segnalate nel video iniziale. Abbiamo invitato oggi una rappresentanza di queste esperienze d’avanguardia presenti nel nostro Paese. Dobbiamo augurarci che, nei limiti del possibile, queste pratiche innovative si espandano a macchia d’olio.

Le categorie e le realtà che ho citato e le altre che avrei potuto menzionare, ad esempio quelle di matrice religiosa, svolgono un servizio sociale rivolto genericamente alle famiglie, ma è evidente che questi strumenti di conciliazione servono soprattutto alle donne perché facilitano il loro accesso al mercato del lavoro.

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Bassi tassi di attività e di occupazione femminile rappresentano uno dei fattori di debolezza dell’economia italiana ai quali è necessario porre rimedio. Come dimostrano diverse ricerche, e come ha ricordato il Ministro Profumo, un incremento dell’occupazione femminile determinerebbe un importante aumento del PIL italiano. Una delle ragioni dello svantaggio attuale sta proprio nella più alta propensione delle donne italiane ad abbandonare il lavoro in caso di maternità, specie dopo il terzo figlio, ma anche dopo le prime nascite. Come tutti i problemi italiani, il peso delle responsabilità famigliari sull’occupazione femminile è particolarmente evidente al Sud, dove i tassi di occupazione delle donne sono in generale decisamente più bassi.

Tuttavia la vecchia ipotesi che il lavoro di per sé scoraggi la maternità deve essere rovesciata. Le donne che non lavorano o sono lavoratrici precarie – e quindi prive di tutela – non si sentono in grado di affrontare la maternità con tutte le responsabilità che questa comporta. La mancanza di un reddito sufficiente e stabile in occupazione non precaria e bassamente retribuita preclude alle giovani donne la costruzione di una famiglia restando in Italia. La testimonianza di Ilaria Ravarino, che abbiamo appena ascoltato, lo conferma. Non c’è da stupirsi, quindi, se nel nostro Paese a un tasso di occupazione femminile poco soddisfacente si accompagna un tasso di natalità tra i più bassi in Europa. Una riforma del mercato del lavoro che desse più sicurezza economica ai giovani, produrrebbe anche una maggiore propensione ad avere figli. E questo gioverebbe di certo alla nostra economia.

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Occorre, però, evitare di trattare questi temi solo in termini di benefici economici. Una società, un sistema economico, un mercato del lavoro, un welfare che scoraggiano la maternità non sarebbero apprezzabili neppure se consentissero livelli di crescita ragguardevoli. E comunque questo non è il caso italiano. In generale, una comunità nazionale che non genera abbastanza figli è assimilabile a una specie in via di estinzione, segnala un profondo malessere, una rassegnazione, in sostanza, al declino del paese.

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Va peraltro detto che ci sono anche non poche donne italiane – e ne abbiamo visto qui alcuni splendidi esempi tra le nostre insignite – cui è riuscito di combinare l’affermazione professionale con un buon numero di figli. Tuttavia – come abbiamo ascoltato – anche loro hanno dovuto affrontare difficoltà, fare scelte coraggiose, contare sul soccorso dei nonni, e sull’appoggio di mariti collaborativi, quando ci sono.

Dobbiamo considerarle comunque madri fortunate. Purtroppo non sono poche le donne italiane che non hanno avuto uguale fortuna. Ricevo spesso lettere che presentano situazioni drammatiche, rispetto alle quali confesso di sentirmi dolorosamente impotente. Riporto poche parole di una lettera che mi ha particolarmente colpito. ” Sono una CO.CO.CO[…] con poco più di mille euro al mese […]. Sono una mamma, una madre capofamiglia con tre figli e un marito che da anni è in un letto di ospedale […]. Ora mi chiedo, cosa sarà della mia vita, di questa situazione senza sbocchi, con questo mio lavoro precario, con questa ansia di vita senza speranza per il presente e per il futuro, senza nessuna certezza da poter dare ai miei figli che invece hanno in me il loro unico punto di riferimento? […] Dateci, vi prego, la possibilità di vivere, di essere persone, oltre che cittadini […]”. Mi fa piacere che chi ha scritto queste righe dolorose abbia risposto al nostro invito di partecipare a questa cerimonia.

E’ dunque molto difficile, specie nei casi estremi, la vita delle madri che non possono contare su redditi e aiuti sufficienti. Alle situazioni di emergenza si deve dare una risposta prioritaria. Tuttavia, anche in casi meno drammatici l’impegno familiare richiesto oggi alle donne, specie in alcune fasi della vita, è troppo oneroso. Coloro che hanno rimandato la maternità, in attesa di maggiori sicurezze economiche, si trovano spesso a dovere conciliare lavoro e cura dei figli con l’assistenza a genitori e parenti anziani.

In queste situazioni difficili le lavoratrici immigrate costituiscono una risorsa. La loro offerta di lavoro a basso costo permette alle famiglie italiane di delegare una parte dei lavori domestici e delle attività di cura dei bambini e soprattutto degli anziani. Le donne immigrate hanno ancora un tasso di fecondità maggiore di quelle italiane, ma per loro essere insieme mamme e lavoratrici è particolarmente difficile, visti i lunghi orari di lavoro, gli scarsi redditi e la riguarda anche le donne economicamente più fortunate. Infatti lontananza dei nonni su cui poter contare.

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Contribuisce probabilmente a scoraggiare la maternità in Italia anche il carico eccessivo di aspettative, di richieste specifiche che gravano sulle donne, più che sugli uomini : il timore di non fare abbastanza per i propri figli e per il proprio lavoro (ne abbiamo sentito questa mattina, poco fa alcuni echi). Quindi ‘conciliare si può’ anche attraverso misure indirizzate a favorire la condivisione dei compiti familiari, ad esempio, introducendo – come propone il Ministro Fornero – i congedi parentali distribuiti tra i due genitori. Ma sui congedi dei padri si rilevano ancora e soprattutto resistenze culturali. La necessaria redistribuzione dei carichi di lavoro in famiglia, passa infatti attraverso un cambiamento di attitudine culturale rispetto alla divisione dei ruoli che interessa sia lavoratori, sia datori di lavoro. Si tratta di una trasformazione lenta, ma fortunatamente già avviata anche nel nostro paese, specie tra le giovani generazioni.

È necessario, però, anche un sostegno, un incentivo delle politiche pubbliche in questa direzione. Tra le raccomandazioni del Consiglio Europeo del giugno 2011 sul programma di stabilità dell’Italia si legge quella “di adottare misure per promuovere una maggiore partecipazione delle donne nel mercato del lavoro, aumentando la disponibilità di asili e servizi di assistenza”. E si sollecita un impegno a “coordinare gli sforzi a tutti i livelli pubblici per promuovere la conciliazione di vita professionale e vita familiare”. Perché a questa esigenza di conciliazione si risponda con misure efficaci, dobbiamo impegnarci tutti, donne e uomini facendo ciascuno la sua parte. L’impegno degli uomini a favore della parità di genere è insieme un dovere civile e un elemento importante per raggiungere questo storico obbiettivo. E’ questo il senso della onorificenza conferita al Professor Maurizio Ferrera.

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Ed è un discorso che viene da lontano. Avantieri, a Torino, in occasione un interessante convegno sul ruolo della magistratura nella storia dell’Italia unita, è stata più volte ricordata una sentenza felicemente anticipatrice (anche se giuridicamente controversa) dell’insigne giurista Lodovico Mortara, con la quale, nel 1906, l’allora Presidente della Corte d’Appello di Ancona, postulò il riconoscimento del diritto di voto alle donne. La sentenza Mortara si ispirò a una visione alta e moderna, a una visione aperta della società e del diritto. E non può meravigliare che essa venne subito cancellata, perché si era spinta molto più avanti della giustizia, della cultura e della politica di quel tempo e anche della capacità di pressione e affermazione raggiunta dai primi embrioni, allora, del movimento femminile.

Il diritto di voto sarebbe stato riconosciuto solo dopo il lungo buio del fascismo e della guerra : nientemeno che quarant’anni dopo. Da quel luminoso momento del 1946, la storia dell’avanzata delle donne nella società e nelle istituzioni ha conosciuto ritmi più celeri e costanti. Ma è giunto il momento di nuove e più decise accelerazioni : per il conseguimento della parità di genere, per il generale progresso di un’educazione al rispetto delle donne come persone nella pienezza della loro autonomia e del loro ruolo. Ebbene, siamo qui per questo, oggi 8 marzo, nel Quirinale aperto alle donne in un trionfo di mimose. E in questa che è la sede dell’istituzione repubblicana in cui tutti gli italiani possono riconoscersi e si riconoscono, rinnoviamo il nostro impegno convinto, solenne e affettuoso.

 

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