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Le torture e i maltrattamenti in Siria

Sono 31 i metodi di tortura e maltrattamenti praticati dalle forze di sicurezza, dai militari e dalle shabiha (le bande armate filo-governative) in Siria. Amnesty International li documenta in un rapporto (Volevo morire: parlano i sopravvissuti alla tortura in Siria) diffuso mercoledì, ad un anno dall’inizio delle proteste contro il regime di Bashar al Assad, attraverso i racconti delle vittime incontrate nel mese di febbraio in Giordania da rappresentanti dell’organizzazione. L’ampiezza delle torture avrebbe raggiunto, secondo l’organizzazione per i diritti umani, un livello che non si vedeva da anni e che ricorda il periodo nero degli anni Settanta e Ottanta.
“L’esperienza fatta dalle tante persone arrestate nel corso dell’ultimo anno è ora molto simile a quella fatta dai prigionieri sotto l’ex presidente Hafez al-Assad: un incubo di torture sistematiche”, ha dichiarato Ann Harrison, vicedirettrice ad interim del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International. “Le testimonianze che abbiamo ascoltato – ha spiegato ancora – descrivono dall’interno un sistema di detenzione e interrogatori che, a un anno dall’inizio delle proteste, ha il principale obiettivo di degradare, umiliare e mettere a tacere col terrore le vittime”.
Molte vittime hanno dichiarato di essere state picchiate al momento dell’arresto. Il pestaggio è proseguito con l’haflet al-istiqbal (“festa di benvenuto”), all’arrivo nel centro di detenzione, con pugni e percosse con bastoni, calci dei fucili, fruste e cavi di corda intrecciata. I nuovi arrivati vengono solitamente lasciati in mutande e talvolta tenuti all’aperto anche per 24 ore.
Il momento di maggior pericolo è tuttavia quello dell’interrogatorio. Parecchi sopravvissuti alla tortura hanno descritto ad Amnesty International la tecnica del dulab (“pneumatico”): il detenuto è infilato dentro a uno pneumatico da camion, spesso sospeso da terra, e viene picchiato, anche con cavi e bastoni.
Risulta ampio anche l’uso delle scariche elettriche durante gli interrogatori. Vittime di tortura hanno descritto ad Amnesty International tre metodi: la vittima o il pavimento della cella vengono bagnati d’acqua e poi viene sprigionata l’elettricità; la “sedia elettrica”, con gli elettrodi applicati alle parti del corpo; l’uso di pungoli elettrici.
Nel corso dell’ultimo anno paiono essere diventati più comuni anche le torture basate sul genere e la violenza sessuale.
“L’organizzazione – afferma Amnesty International in un comunicato – ha ripetutamente chiesto che la situazione della Siria venisse deferita al procuratore della Corte penale internazionale, ma fattori politici hanno finora impedito che ciò accadesse. La Russia e la Cina hanno bloccato due volte deboli proposte di risoluzione del Consiglio di sicurezza che neanche facevano riferimento alla Corte. Non essendo riuscito il tentativo di coinvolgere la Corte, Amnesty International ha chiesto al Consiglio Onu dei diritti umani di prorogare il mandato della Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sulla Siria e rafforzare la sua capacità di effettuare monitoraggio, documentare e denunciare in vista della possibile incriminazione dei responsabili di crimini di diritto internazionale e altre gravi violazioni dei diritti umani. Amnesty International auspica che la comunità internazionale voglia condividere la responsabilità di indagare e punire crimini contro l’umanità nei tribunali nazionali, attraverso processi equi e senza il ricorso alla pena di morte. L’organizzazione per i diritti umani ha sollecitato la formazione di un team internazionale di investigatori e procuratori per garantire maggiori probabilità di arrestare i presunti responsabili”.

 

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