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Viviamo un mondo di equilibri precari

Avevamo notato la notevole discrepanza già su queste pagine, un po’ di tempo fa. “Viviamo un mondo di equilibri precari, anzi di squilibri”, scrivevamo all’inizio di febbraio. “Gli statunitensi hanno un consumo energetico medio pari a sei volte quello mondiale e quello degli europei è quasi il triplo. Quasi 2,5 miliardi di persone non hanno accesso ai moderni servizi energetici e 1,5 miliardi vivono senza elettricità. Si stima che con l’attuale tasso di crescita, nel 2030, la domanda di energia sarà superiore del 50% a quella attuale. Alla crescita del fabbisogno energetico contribuirà, in modo considerevole, l’aumento della richiesta proveniente dalle economie in via di sviluppo. Economie che, mentre s’irrobustiscono dal punto di vista economico, riversano il 70% dei rifiuti industriali direttamente nelle acque di superficie”.
A rilanciare l’allarme energetico (anche se i numeri divergono di poco) è stato il direttore degli studi economici dell’Iea, Faith Birol, a margine della IV conferenza Energythink a Venezia, organizzata da Eni e Legambiente. “In questo contesto di crisi economica – ha spiegato Birol – i leader mondiali non sembrano intenzionati ad affrontare seriamente il problema dei cambiamenti climatici. Quanto all’accesso all’elettricità, va ricordato che sono 1,3 miliardi, il 20% della popolazione mondiale, le persone che non ne possono fruire”. Che tradotto in una maggiore qualità della vita vuol dire “non avere frigoriferi dove tenere le medicine per i propri figli, non avere luce, né internet o televisione, non potendo informarsi sul mondo”.
“E se la situazione non migliorerà – ha aggiunto il direttore dell’Agenzia internazionale dell’energia – questa enorme massa di gente resterà nel futuro nella stessa situazione di oggi”.
A questo problema si aggiunga anche l’impossibilità di accesso, per almeno 2,7 miliardi di persone, a luoghi di cottura igienici. In questo modo si avrà il quadro completo del gap energetico mondiale. Ridurre il divario non significa “portare di colpo determinate popolazioni a uno stile di vita occidentale, ma di consentire un livello minimo di energia tale da farle uscire dall’indigenza e dato che i loro consumi sarebbero bassissimi le emissioni globali aumenterebbero soltanto dello 0,6%”.
In ogni caso il problema energetico comprende anche i Paesi sviluppati. “Oggi – ha spiegato ancora Birol – abbiamo il barile di petrolio a 125 dollari, un prezzo molto alto che spinge in ‘zona rossa’ le economie dei paesi importatori, fra cui l’Italia. Le tensioni in Medio Oriente hanno un impatto, ma l’era del petrolio a basso costo è finita. Anche senza tensioni vedremmo prezzi alti per il petrolio. Per questo dobbiamo accelerare la corsa verso le nuove tecnologie”.

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