Usa 2012. Come sono andate le primarie in Louisiana | T-Mag | il magazine di Tecnè

Usa 2012. Come sono andate le primarie in Louisiana

di Antonio Caputo

Nuovo appuntamento per la corsa presidenziale, sabato, con le primarie in Louisiana: in questo Stato ex francese del profondo Sud (dove il voto segue logiche di divisione per “faglie” etniche: la maggioranza bianca è Repubblicana; la consistente minoranza afroamaericana è Democratica), andavano al voto entrambi i partiti.
Tra i Democratici, una volta tanto Obama non correva da solo: il presidente si è aggiudicato il 76.5% dei 150.000 (circa) votanti; poco meno di un quarto dei voti agli altri tre candidati minori: a John Wolfe l’11.8%, e la prevalenza in tre piccole Parish (in Louisiana la suddivisione amministrativa, a differenza degli altri Stati, non è per contee, ma per Parish: all’atto pratico non cambia granché), Grant e La Salle, nel centro dello Stato e Cameron, nel Sud Ovest; ancora, a Bob Ely il 6.6%; a Darcy Richardson, infine, il 5.1% .
Sul versante repubblicano, netta affermazione per il cattolico conservatore Rick Santorum, che fa sua la vittoria con il 49%, ai danni di Mitt Romney, il quale si ferma al 26.7. Dopo il Super Martedì (in cui non andò oltre la vittoria nella sua Georgia) e dopo i successivi risultati in Mississippi ed Alabama, che l’hanno visto sconfitto, incoronando Santorum come alfiere della destra conservatrice, altra scoppola per l’ex speaker della Camera, Newt Gingrich, fermo ad un mesto 15.9, davvero poco per questo Stato conservatore. Evidentemente, l’elettorato di destra ha ormai definitivamente abbandonato Gingrich, per puntare esclusivamente sull’ex senatore italo americano. A Ron Paul, deputato libertario, il 6.1%, in un’arena ostile, com’è per lui il profondo Sud, Regione nella quale non riesce ad andare oltre percentuali di mera testimonianza; poco più del 2%, infine, per i candidati minori, e quelli già ritiratisi dalla competizione.
Un’analisi del voto vede la prevalenza per Santorum tanto tra i protestanti, specialmente gli evangelici più conservatori, quanto (sia pur in maniera meno ampia della generalità degli elettori) tra i cattolici; prevalenza che si fa più netta tra le donne e tra i giovani. Testa a testa Romney – Santorum nel voto dei moderati.
Territorialmente, punti di forza dell’ex Senatore italo americano sono le zone suburbane e rurali, mentre, Romney, come in quasi tutti gli Stati in cui si è votato finora, resiste nelle aree urbane, dove in molti casi fa registrare una sconfitta meno marcata rispetto al dato medio dello Stato (Shreveport, la Capitale Baton Rouge), o addirittura prevale, come nella principale città (unica Parish in cui il miliardario mormone ha riportato la vittoria) dello “Stato del Pellicano”, quella New Orleans, teatro della drammatica alluvione dell’Agosto 2005, da cui iniziò la parabola discendente per Bush, e per la sua amministrazione.
Col voto di Sabato, esce definitivamente di scena (anche se per ora non ha annunciato il ritiro) Newt Gingrich, già pesantemente indebolito prima del Super Martedì; ma che proprio a partire da quella data, ha perso anche l’unico segmento di elettorato (gli ultraconservatori del Sud) che fino a quel momento lo aveva sostenuto. Quell’elettorato che, fuori gioco Gingrich, da qualche settimana a questa parte ha puntato su Santorum in maniera compatta, il che ha regalato all’italo americano il risultato trionfale di sabato notte. La compattezza dei conservatori su Santorum è una cattiva notizia per Romney, anche se ormai quest’ultimo veleggia verso la nomination, che potrebbe sfuggirgli solo in caso di scivoloni clamorosi, ad oggi poco probabili.
Per la corsa repubblicana, non è cambiato molto: il vantaggio di Romney, in termini di delegati, resta sempre elevato e difficilmente colmabile da parte dell’ex senatore cattolico, il cui obiettivo reale, più che la vittoria, resta quello di evitare che l’ex governatore del Massachusetts arrivi alla convention di fine agosto, a Tampa (Florida), con la maggioranza assoluta dei delegati che gli garantirebbe la nomination in prima battuta. Se il miliardario mormone non raggiungesse il “numero magico” di 1144 delegati, gli toccherebbe “trattare” con uno dei candidati sconfitti, affidandogli, ad esempio, la candidatura a vicepresidente.
Potrebbe essere proprio questo, quindi, lo sbocco della partita in campo repubblicano: è ormai chiara la spaccatura nel Partito, sia ideologica (tra moderati e conservatori), sia territoriale (le aree progressiste, come il Nordest, la West Coast e le metropoli, con Romney, il quale fa sue anche le zone con forte presenza di mormoni; le arene più conservatrici, quali Midwest, Sud e le zone rurali, con Santorum). Partito che potrebbe compattarsi con un ticket tra i due candidati, che coprirebbe sia il centro, terreno di caccia per Romney, sia la destra, dove è Santorum a riscuotere più consensi.

 

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