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Là dove c’è la stabilità politica

di Fabio Germani

Non è la chiusura di un negozio dedicato all’hi-tech, per quanto appartenente ad una famosa catena francese e collocato in un noto centro commerciale di Roma (dunque in una zona non particolarmente a rischio), che deve far presagire il principio di un declino percepito ormai come “inarrestabile”. La crisi va oltre i singoli casi e le reazioni, spontanee, di tanti clienti increduli (non è una casualità se ne scriviamo) non vanno circostanziate. Nel 2012, ricordava non molto tempo fa Reti Imprese Italia, ha chiuso un’impresa al minuto. La disoccupazione nel nostro Paese (dati Eurostat) si attesta nel mese di gennaio all’11,7%. Informa l’Istat che l’anno scorso il numero dei precari ha superato la quota di 2,8 milioni, mentre la disoccupazione giovanile è pari al 38,7%.
La retorica del momento vorrebbe tale situazione figlia di un immobilismo che si protrae da qualche tempo e che sembra destinato a peggiorare data l’incertezza politica scaturita dal voto della scorsa settimana. I pericoli ci sono, questo è indubbio. Ma un’obiettiva lettura suggerisce un’interpretazione di diverso avviso. Le difficoltà sono proiettate su una scala europea secondo cui la stabilità politica non è sintomatica di una buona tenuta economica e sociale. Prendiamo come riferimento proprio la Francia. A gennaio, afferma sempre l’Eurostat, il tasso di disoccupazione si attesta al 10,6% (la media nella zona euro è pari all’11,9%). Più in generale (via Internazionale) la disoccupazione ha raggiunto livelli mai visti dal 1997 (3,169 milioni) e dovrebbe aumentare ancora nel 2014. Colossi come Peugeot-Citroen, Motorola e Danone sono alle prese con piani di ristrutturazione e il presidente François Hollande ha ammesso che con ogni probabilità l’inversione di tendenza non si verificherà entro l’anno, nonostante le promesse in questo senso di inizio mandato.
Evidentemente stabilità politica non fa rima con stabilità economica. Chiedere ai cittadini del Belgio che a partire dalle elezioni del giugno 2010 sono rimasti per 540 giorni privi di un governo (anche se non formalmente), senza per questo essere costretti a temere il peggio. Ma il modello belga non è certo replicabile in Italia e una maggiore stabilità, sebbene non dirimente al fine di superare del tutto la crisi economica, è auspicabile più che altrove. E lo è a priori, visto che la crisi presenta una dimensione europea del fenomeno.

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