Quelle ombre alla luce del sole
Contraddizioni, stranezze e miraggi. L’ultimo, in ordine cronologico, è un codice di tre lettere che però non fa accedere ad alcun segreto. L.B.B. – da domenica 24 febbraio presentato dai media come l’ennesimo “Buscetta” pronto a squarciare, una volta per tutte, la cappa di omertà sul caso di Emanuela Orlandi – non ha alcuna informazione inedita né sulla scomparsa della giovane cittadina vaticana e né su presunti dialoghi scabrosi avvenuti all’epoca dei fatti tra la stessa e sacerdoti della basilica di sant’Apollinare. La conoscenza fra i due, oltretutto coetanei, era legata alla comune frequentazione della scuola di musica “Tomaso Ludovico Da Victoria”, nel 1983 situata nel palazzo adiacente la chiesa intitolata al patrono di Ravenna.
Un altro binario morto per la Procura di Roma, che da sette anni ha riaperto l’inchiesta archiviata il 19 dicembre 1997 per arrivare alla verità su uno dei misteri più intricati dell’Italia repubblicana e sul quale regna ancora un silenzio permanente e ingombrante.
Di recente, Pietro Orlandi (il fratello di Emanuela) ha preso spunto proprio dalla sentenza del 1997 per rilanciare la pista investigativa alto-atesina, esposta anche nel libro Mia sorella Emanuela scritto insieme al giornalista Fabrizio Peronaci, che vuole una signora di Terlano, piccolo paese ella valle dell’Adige, aver riconosciuto Emanuela nella ragazza fatta salire su una macchina da un uomo in uniforme, poi identificato in Rudolf di Teuffenbach, al tempo (agosto 1983) funzionario del Sismi presso la sede di Monaco di Baviera. A differenza del magistrato di Bolzano Guido Rispoli, che nel 2011 ha aperto un fascicolo su questi fatti, i colleghi di Roma hanno invece preferito concentrare le loro energie sul fronte della banda della Magliana, senza però approdare a risultati significativi tranne aver stabilito che nella cripta di sant’Apollinare non vi fossero tracce di Emanuela Orlandi, ma soltanto dell’ex boss della banda della Magliana Enrico De Pedis. Delusi così gli amanti della suspense, trepidanti per un epilogo formato “C.S.I”.
Dalle cripte alle sacrestie, conta la forma e non la sostanza. Ecco così effetti speciali profumati d’incenso intorno le parole di padre Amorth nel libro L’ultimo esorcista – dove l’esorcista del Vaticano riporta la versione di monsignor Duca (nel frattempo deceduto) su Emanuela vittima di un’orgia di preti pedofili – mentre la più completa indifferenza avvolge il primo comunicato stampa della Santa Sede, emesso in concomitanza con il primo appello lanciato da Wojtyla (3 luglio 1983), che derubricò la sparizione della ragazza a “sequestro di persona” quando invece nessuno ne aveva ancora rivendicato il rapimento. Dentro San Pietro come facevano a essere al corrente di certe informazioni? E al cospetto di queste incongruenze, i giudici italiani produrranno mai una decisa azione investigativa per accertare le responsabilità in merito di Oltretevere?
In mezzo a tanti interrogativi, una certezza: la fantasiosa poliedricità di Alì Agca, di recente autore di nuove affermazioni, coerentemente divergenti con le precedenti, che vogliono Emanuela Orlandi viva e nascosta dal governo vaticano in un monastero di clausura. ″Lei non si dimentichi che dietro questa storia c’è lo strazio di una famiglia, se ha delle prove le mostri, altrimenti la smetta” gli ha ricordato il giudice Ilario Martella, titolare dell’inchiesta sull’attentato al Papa e, dal 1985 al 1990, anche dell’istruttoria Orlandi.
Un suggerimento valido anche per gli avventori e gli assetati di scoop, in questi decenni alla ribalta con le tesi più stravaganti: da chi dice di averci parlato due anni fa, a chi la vuole nascosta nell’isola greca di Kavala o in una comunità islamica in Turchia, ormai disinteressata a ritornare in Italia.
Nella settimana che porta al trentacinquesimo di via Fani, manca giusto che salti fuori la notizia di qualche seduta spiritica…