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Università e lavoro, ancora ritardi al Sud

Il rapporto Svimez sottolinea che negli ultimi quindici anni si è osservata una "fuga" di 200 mila laureati meridionali, una perdita per il Mezzogiorno di 30 miliardi, ovvero quasi due punti del Pil nazionale
di Silvia Capone

Nonostante l’ultimo rapporto della Svimez, Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, relativo al 2016 confermi la ripresa dell’area dell’Italia meridionale, (il Pil aumenta dell’1%) la situazione per i giovani non sembra ancora favorevole. Infatti l’aumento dell’occupazione, registrato ad un +1,7%, coinvolge solo in maniera marginale i giovani, la cui occupazione in aumento dell’1,3% non riesce ancora a colmare il gap di 1 milione e 900 mila posti di lavoro in meno rispetto al 2008.

Sul versante dell’istruzione secondo il rapporto Svimez, nel Mezzogiorno la scelta di proseguire gli studi universitari riguarda solo il 54,5% dei giovani, la percentuale è di quasi sei punti al di sotto rispetto la media nazionale, che non vanta ottime posizioni nelle classifiche europee. In generale infatti la quota di giovani italiani laureati – tra i 30 e i 34 anni – è del 26,2%, dato in crescita rispetto agli anni precedenti – cresciuto del 10,6% rispetto al 2004 -, ma non del tutto positivo se si confronta con la media Ue del 38,4%. Il gap aumenta se si considera la quota dei laureati sulla popolazione adulta dei 25-64enni, meno del 18%, rispetto agli altri Paesi dell’UE a 22, dove è pari al 34% e dell’OCSE dove sale al 36%.
Non solo il tasso dei laureati in Italia è tra i più bassi rispetto ai paesi industrializzati, ma per il Sud, l’emigrazione resta un importante canale di miglioramento delle condizioni di vita. A testimoniare ciò, il rapporto sottolinea che negli ultimi quindici anni si è osservata una “fuga” di 200 mila laureati meridionali verso l’estero, ma molto più spesso verso il Centro e il Nord Italia: «Moltiplicata questa cifra per il costo medio che serve a
sostenere un percorso di istruzione elevata – sottolinea la Svimez -, la perdita netta in termini finanziari del Sud ammonterebbe a circa 30 miliardi, trasferiti alle regioni del Centro Nord e in piccola parte all’estero. Quasi due punti di Pil nazionale».
Insomma, il fenomeno “fuga di cervelli” si manifesta in modo diverso a seconda delle aree geografiche e non riguarda solo il Sud. E soprattutto, in quest’ultimo caso, non è detto che sia l’estero la scelta più gettonata. Secondo un’analisi del ministero dell’Istruzione gli studenti italiani all’estero (va però precisato che oltre ai “fissi” le stime considerano anche quelli che partono per Erasmus) sono aumentati negli ultimi sei anni di circa 20 mila unità e la maggioranza dei ragazzi che vanno all’estero sono residenti al Centro-Nord, mentre gli spostamenti dei giovani meridionali si concentrano soprattutto verso le regioni settentrionali dell’Italia. La cospicua componente di studenti meridionali nelle università del Nord – nel 2015 secondo dati del Politecnico di Torino su 10.000 pre-immatricolazioni, il 60% proveniva da studenti residenti in regioni del Sud – corrisponde ad un drastico calo delle iscrizioni nelle università del Mezzogiorno, in particolare della Puglia e della Sicilia e si compensa del tutto con la scelta di molti giovani di entrare da subito nel mercato del lavoro.
Nonostante ciò il rapporto Svimez, che riprende la distribuzione del Fondo Finanziamento Ordinario per le università italiane in relazione a quella avvenuta circa il 2004-2010, sottolinea che l’82% delle università meridionali è riuscito a migliorare la performance sulla parte premiale, le università del Centro-Nord hanno invece riportato una quota simile tra quelle che hanno incrementato la loro parte premiale, il 54% di esse, e quelle che l’hanno diminuita.

 

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