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Cosa spiegano i dati Ocse sulla crescita dell’economia

L'Italia è l'unico paese del G7 a mostrare segnali di rallentamento. Ma allargando l'orizzonte, su base annua si osserva una frenata complessiva. Cosa dobbiamo aspettarci?
di Redazione

L’indice di fiducia in calo in entrambe le componenti, consumatori e imprese, registrato dall’Istat, è solo l’ultimo tassello di un’economia italiana che, seppure in espansione, sta cominciando a mostrare segnali di rallentamento. Nella giornata di ieri, 27 agosto 2018, l’Ocse ha ricordato come nel secondo trimestre dell’anno l’Italia sia stato l’unico paese del G7 a frenare la propria corsa.

Un breve ripasso, allora. Nel periodo compreso tra aprile e giugno 2018 la crescita dell’area Ocse è stata dello 0,6% quando si era invece osservato un +0,5% nel periodo precedente, segnando perciò un lieve rialzo. L’accelerazione ha riguardato soprattutto Stati Uniti (che di fatto ha raddoppiato il ritmo di crescita), Giappone e bene sono andati anche Germania e Regno Unito (nonostante le difficoltà legate alla Brexit). Stabile il Pil della Francia, mentre l’Italia è passata da +0,3% a +0,2%. Unico dato al ribasso, appunto.

C’è un dato, tuttavia, da tenere sott’occhio. Molto più che sempre l’Ocse a marzo aveva alzato le stime di crescita mondiale e dell’Eurozona (ma non dell’Italia, guarda caso) per il 2018. Su base annua, l’economia nell’area ha registrato complessivamente un rallentamento, passando da +2,6% del primo trimestre a +2,5% del secondo trimestre rispetto allo stesso periodo del 2017. In termini tendenziali, tra i paesi del G7 gli Stati Uniti evidenziano l’incremento più robusto (+2,8%), il Giappone la crescita più bassa (+1%). L’Italia è appena sopra (+1,1%). Insomma, allargando l’orizzonte si può affermare che il rallentamento è più esteso, non riguarda esclusivamente il nostro paese insomma.

Cosa vuol dire in altre parole? Non ci sono elementi che possano far presagire il peggio, nonostante i rischi al ribasso non manchino (particolare attenzione viene data alla possibilità di una guerra commerciale vera e propria, ma le ultime mosse di Washington – dalla “tregua” con l’UE all’annuncio di accordo commerciale con il Messico, ma non ancora con il Canada, in sostituzione del Nafta – dovrebbe essere la dimostrazione di un tentativo di rasserenamento del clima generale). Non vi è un pericolo recessione e nello specifico l’Italia da tempo mostra un andamento più insicuro, con il Pil che è ancora poco più di cinque punti percentuali sotto i livelli pre-crisi. È vero anche, però, che i valori osservati fin qui (la crescita negli Usa e nell’UE ha registrato i massimi storici o quasi) potrebbero ora arrestarsi, soprattutto alla luce delle nuove strategie di politica monetaria. La Fed sta procedendo ad un graduale rialzo dei tassi, la BCE entro l’anno metterà fine al programma di acquisto di titoli di Stato.

Ancora in termini generali, l’export mondiale ha fatto registrare nel 2018 una lieve ripresa rispetto ai periodi precedenti (nel caso italiano la risalita economica degli ultimi anni è dipesa perlopiù dalle esportazioni a fronte di una domanda interna più debole), ma gli scenari possono cambiare – a breve o meno – sulla base dei possibili nuovi sviluppi. Per l’anno in corso, l’agenzia di rating Moody’s ha di recente confermato che l’economia statunitense resterà «il driver della crescita globale», mentre la Germania continuerà a rappresentare il traino dell’Europa. Tagliate le stime per l’Italia (all’1,2% dall’1,5%), così come per la Francia (all’1,8% dal 2%).

 

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