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Brexit: una bozza di accordo c’è, ma il prezzo è alto

Il governo approva la bozza di accordo tecnico per il divorzio di Londra da Bruxelles, ma perde pezzi: lasciano in quattro, tra i quali il ministro Dominic Raab. I possibili scenari
di Fabio Germani

La premier britannica Theresa May ha annunciato che il governo ha dato il via libera alla bozza di accordo tecnico sulla Brexit. Tutto bene quel che finisce bene? Non sembra essere così. Tanto per cominciare qualche ora dopo l’annuncio si è dimesso il ministro per la Brexit, Dominic Raab, il quale ha motivato così la sua decisione: «Oggi mi sono dimesso da segretario per la Brexit. Non posso in buona coscienza sostenere i termini proposti per il nostro accordo con l’UE». Il suo pensiero sintetizza quello di molti, all’interno dello stesso esecutivo May e del partito conservatore. Tanto che la partita sembra ancora in salita: in Parlamento il voto è tutt’altro che scontato (gli unionisti nordirlandesi del Dup, fondamentali per la maggioranza, potrebbero decidere di abbandonare May al proprio destino), non si esclude che i Tories – su spinta dei più intransigenti sull’uscita del Regno Unito dall’UE – possano presentare una mozione di sfiducia ai danni di Theresa May. Intanto hanno lasciato pure la ministra del Lavoro, Esther McVey, il sottosegretario britannico per l’Irlanda del Nord, Shailesh Vara, la sottosegretaria per la Brexit, Suella Braverman.

Ma in cosa consiste l’intesa raggiunta qualche giorno fa con Bruxelles, su cui la premier May è riuscita a ottenere una prima, soffertissima, vittoria? In soldoni, l’accordo prevede una serie di misure e cooperazioni su questioni chiave quali partnership economica e commerciale (verrà creata ua zona di libero commercio, senza dazi o restrizioni particolari), mobilità (procedure condivise per l’entrata e il soggiorno temporaneo), servizi finanziari, trasporti, energia, sicurezza e politica estera, tutti temi su cui, pur in un contesto di collaborazione reciproca, entrambe le parti manterranno il proprio grado di autonomia. Soprattutto, la bozza prevede l’assenza di frontiere fisiche con l’Irlanda del Nord (ma sul punto, è stata la critica di Vara, mancherebbero le dovute garanzie), il nodo che aveva ingarbugliato i negoziati nelle ultime settimane, più un periodo di transizione di 21 mesi a partire dal 29 marzo 2019, data in cui avverrà il divorzio vero e proprio. Ma non è abbastanza, a quanto pare. Al punto che il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha ammesso di non condividere l’entusiasmo di Theresa May, confermando però il vertice straordinario del 25 novembre che ratificherà l’accordo sulla Brexit.

Insomma, quello che accadrà in futuro – da un punto di vista politico ed economico, ma non solo: addirittura la Premier League potrebbe subire conseguenze particolari – potremo verificarlo già a breve, nel frattempo possiamo osservare cosa ha significato il processo di uscita del Regno Unito dall’UE: tanta confusione, ma non enormi ripercussioni (negative) sull’economia a dispetto dei tanti report che appena prima e subito dopo il referendum del giugno 2016 facevano presagire scenari nefasti. Ad esempio, secondo i dati dell’Ufficio nazionale di statistica nel terzo trimestre il Pil è cresciuto e i consumi hanno registrato valori massimi dal 2016. In più a settembre il tasso di disoccupazione è aumentato al 4,1%, mantenendosi tuttavia su livelli relativamente bassi e di poco superiori al 4% registrato nei tre mesi precedenti. Il dato si confronta con il 4% dei tre mesi precedenti e atteso dagli analisti. Nel trimestre luglio-settembre 2018, il totale dei disoccupati è aumentato di 23 mila unità, arrivando a un totale di 1,38 milioni, mentre gli occupati sono 32,41 milioni. Il tasso di crescita dei salari medi, invece, ha mostrato una crescita del 3,2%, meglio delle attese.

I timori, nel medio periodo, sono tuttavia politici ancor prima che economici. E tutto dipenderà dalla tenuta di Theresa May, se riuscirà a superare tutti gli ostacoli che si frappongono tra lei e il divorzio di Londra da Bruxelles. La prospettiva di un voto anticipato (stavolta non escludendo la vittoria del Labour di Jeremy Corbyn, che ritiene l’intesa raggiunta con l’UE addirittura dannosa), dunque la prospettiva di una hard brexit o addirittura di un’uscita senza accordo è lo scenario che più spaventa le banche e gli operatori finanziari. E non a caso, dopo le dimissioni a raffica dei ministri britannici, la sterlina è andata giù.

@fabiogermani

 

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