La musica cambia. Ed è “colpa” dello streaming | T-Mag | il magazine di Tecnè

La musica cambia. Ed è “colpa” dello streaming

Un mercato in costante crescita che traina l’intero settore. Motivo per cui le strategie discografiche sono volte a favorire i nuovi modelli di fruizione

di Fabio Germani

Lo streaming traina il mercato musicale, ormai è risaputo. E di conseguenza sta rivoluzionando l’intero settore: dalle produzioni alla durata degli album, dall’idea di playlist alla fruizione degli utenti. Nel 2017 – dati Global Music Report 2018 – lo streaming rappresenta il 38,4% dei ricavi totali dell’industria discografica e nello stesso anno i ricavi digitali hanno rappresentato per la prima volta oltre la metà delle entrate (54%). Tutto ciò avviene in un quadro di crescita complessiva, dell’8,1%. Il 2017, poi, è stato il terzo anno consecutivo di incrementi, cosa che non si verificava a questi ritmi da diversi anni.

Nuovi record (in termini di ascolti), maggiore risalto alla musica locale e talvolta la riscoperta di grandi classici: sono queste le tendenze che vanno per la maggiore da quando lo streaming è divenuto “pane quotidiano”, complice la fruizione facilitata dall’utilizzo di dispositivi mobili. Si tratta di una crescita costante. Spulciando i numeri di qualche tempo fa, dati Deloitte per FIMI (Federazione industria musicale italiana), lo streaming musicale registrava nel 2016 un +30%, con i ricavi dagli abbonamenti che raggiungevano circa il 40% di incremento rispetto al 2015. Gli abbonamenti avevano generato oltre 35 milioni di euro e rappresentavano il 51% di tutto il segmento digitale.

Come si adegua la musica a fronte di un tale cambiamento? In tanti modi diversi. Si predilige la pubblicazione di singoli, ad esempio, soprattutto per gli artisti emergenti. I “dischi” veri e propri possono attendere, almeno il tempo di consolidare la propria posizione tra le molteplici classifiche o playlist che le piattaforme propongono e non correre il rischio di rimanere schiacciati dalla concorrenza (dal 2015 le nuove uscite discografiche – tutte le uscite discografiche, o quasi – sono programmate al venerdì, come stabilito dall’IFPI, International Federation of Phonographic Industry). Un’altra caratteristica è la lunghezza dei brani e a maggior ragione degli album. Di norma – ovviamente non mancano le eccezioni che confermano la regola – questi ultimi difficilmente superano l’ora, mentre aumentano quelli pari a una durata di 30-40 minuti: fruzione rapida di tracce che restino il più a lungo possibile impresse, così da essere riascoltate o aggiunte nelle playlist.

Spotify, TIDAL, Apple Music, Deezer, Quobuz e YouTube Music, solo per citare i più diffusi servizi streaming (con il primo, Spotify, a dominare letteralmente il mercato). Ognuna di queste piattaforme ha le sue peculiarità. TIDAL e YouTube Music, ma in parte anche Apple Music, puntano molto sui video musicali e contenuti in esclusiva (interviste, eventi live, documentari). Spotify – che può vantare quasi 100 milioni di utenti premium – ha da poco acquisito Gimlet Media e Anchor, società specializzate nella distribuzione e nella produzione di podcast (meno incisivo invece, rispetto ai concorrenti, è l’approccio ai video). I podcast, infatti, da alcuni anni, stanno tornando di moda e il mercato è cresciuto molto, soprattutto negli Stati Uniti dove si confezionano prodotti di tipo narrativo – quasi fossero “serie tv” – o di tipo giornalistico. TIDAL e YouTube Music diversificano abbastanza la loro offerta, Spotify mira ad essere un’enorme Radio. E la musica si adegua alle nuove abitudini.

@fabiogermani

 

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