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Come il Regno Unito (e la Svizzera) stanno affrontando l’emergenza sanitaria

Il loro è un approccio che va in direzione opposta rispetto a quanto sta facendo l’Italia per contrastare la diffusione del nuovo coronavirus

di Damiano Lembo

A poche settimane dal primo caso di coronavirus nel nostro paese, il governo è stato costretto a varare alcuni provvedimenti restrittivi e limitativi della libertà individuale che hanno letteralmente blindato l’Italia, bloccandone il sistema economico, pur di tutelare la salute della popolazione. In effetti, considerata la gravità della situazione, non sarebbe potuta andare diversamente: si tratta di misure adottate con l’unico obiettivo, non più di prevenire, ma di limitare e rallentare la diffusione del patogeno.

Tuttavia, nonostante l’Organizzazione Mondiale della Sanità abbia ormai dichiarato la pandemia in ragione di quanto è accaduto e sta accadendo in Cina, Italia e numerose altre nazioni, desta stupore e preoccupazione il fatto che, in alcuni paesi europei, non sia stata ancora presa piena coscienza della necessità dello stato d’emergenza. In tal senso, meraviglia soprattutto l’atteggiamento riduzionistico con cui alcuni governi si sono apprestati ad affrontare la crisi epidemiologica.

L’esecutivo inglese non sarebbe ancora disposto ad emanare provvedimenti restrittivi analoghi a quelli adottati in Italia, giudicati sproporzionati, dato il numero di contagiati per il momento molto ridotto rispetto al nostro. Le autorità britanniche, inoltre, avrebbero prospettato che un “contagio di massa” possa essere il primo step di un percorso adattativo in grado di condurre alla cosiddetta “immunità di gregge”. In ogni caso, anche se tale immunità dovesse essere raggiunta, e su ciò non esiste alcuna garanzia di ordine scientifico, questo comporterebbe ingenti costi in termini di vite umane. Pertanto, sebbene il primo ministro britannico Boris Johnson abbia fatto appello alla necessità di abituarsi a perdere i propri cari, non è pensabile che, pur di non alterare gli equilibri dell’economia nazionale, il governo sia disposto a “sacrificare” i propri cittadini, lasciandosi andare a derive fatalistiche che sembrano richiamare per molti aspetti la “legge del più forte”.

Pare che il problema sia stato sottovalutato anche in Svizzera, la quale, forse troppo fiduciosa nel proprio sistema sanitario, continua a trattare il coronavirus non molto diversamente da una semplice influenza stagionale. Tuttavia, per quanto i meccanismi sanitari possano rivelarsi efficienti ed efficaci, non è possibile non tener conto dell’alta percentuale di malati che, in base alle stime effettuate a livello mondiale, potrebbero necessitare di supporto respiratorio e terapia intensiva, i cui posti, naturalmente, non sono inesauribili.

Nonostante, dunque, l’intero panorama internazionale richieda l’urgente approvazione di misure limitative dettate dalla pandemia, ancora adesso non tutti sembrano concordi nel ritenere lo stato di massima emergenza quello più appropriato a questo tipo di situazione: ciò che traspare è una più generale tendenza a sminuire un problema fin quando non ci colpisce in prima persona.

È ormai noto che sarebbe meglio prevenire un’epidemia; infatti, contenerla, gestirla e contrastarla richiede inevitabilmente un maggiore sforzo organizzativo. A tale proposito, se, da un lato, è comprensibile che l’Italia non abbia affrontato fin da subito la diffusione dei contagi nel modo più opportuno, in quanto ancora non sapeva esattamente a cosa si trovava di fronte, dall’altro, non si spiega la motivazione per cui altri paesi, malgrado l’esperienza italiana, prendano tempo anziché attuare all’istante misure di prevenzione contro l’agente patogeno.

Sembra come se il rifiuto del pericolo rassicuri più delle dovute precauzioni, ma la pandemia non è frutto di immaginazione e fantasia: si tratta, invece, di una realtà impossibile da annullare, che deve essere affrontata nel concreto con strumenti idonei per salvaguardare il bene dei cittadini, il primo nella scala delle priorità e senza alcun dubbio al di sopra della sfera economico-produttiva.

Intanto, mentre c’è ancora chi sostiene che la gravità della situazione nel nostro paese sia una mera invenzione degli italiani “fannulloni” per riposarsi e non lavorare, il nostro pensiero è rivolto al personale medico e agli operatori sanitari, i quali lottano giorno e notte per vincere la battaglia contro il virus e restituirci la normalità.

 

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