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COVID-19: l’impatto sull’occupazione in Italia

L’Istat traccia uno scenario sulla base degli ultimi provvedimenti del governo per affrontare l’emergenza sanitaria

di Redazione

Sono tanti gli interrogativi sul “dopo”, su come il tessuto imprenditoriale potrà risollevarsi una volta passata l’emergenza. È difficile trarre conclusioni, che sarebbero al momento, per forza di cose, affrettate e non ancora in grado di descrivere l’impatto che la pandemia avrà avuto sulle nostre vite. Ad oggi le preoccupazioni maggiori riguardano l’impatto occupazionale (tradotto: i posti di lavoro che andranno persi o che rischiano di più) e la conseguente riduzione dei redditi. Se però ragionare sul futuro può essere persino fuorviante, già il presente registra non poche difficoltà alla luce delle misure drastiche e restrittive rese inevitabili dalla diffusione del nuovo coronavirus. In questo senso l’Istat, ha pubblicato una memoria scritta per il Senato, delineando il quadro degli effetti degli ultimi provvedimenti del governo su imprese e occupati.

In particolare, nel paragrafo dedicato propriamente al lavoro, si fa riferimento al numero di occupati potenzialmente interessati dal DPCM del 22 Marzo 2020 che indica i settori ATECO abilitati al proseguimento dell’attività e quelli in parte o completamente interdetti. I risultati presentati, precisa l’Istat, derivano dai dati dell’indagine sulle Forze di Lavoro e si riferiscono alla media 2019: «Si tratta di un quadro antecedente lo scoppio della crisi sanitaria che non tiene conto di possibili cambiamenti avvenuti nei mesi più recenti. Gli occupati sono stati classificati in due categorie: a) occupati in settori di attività ancora attivi; b) occupati in settori di attività sospesi. Tale classificazione non distingue tra quanti possono lavorare in smart working (si pensi ad esempio al settore dell’istruzione) e quanti devono invece obbligatoriamente recarsi sul luogo di lavoro (ad esempio i dipendenti di supermercati o delle farmacie)».

Nel 2019, spiega l’Istat, il numero di occupati è pari a 23 milioni 360 mila (media annua), circa i due terzi (il 66%) è occupato in uno dei settori di attività economica ancora attivi, per un totale di 15 milioni 434 mila occupati e il restante 34%, (7 milioni 926 mila occupati) in uno dei settori dichiarati sospesi dal decreto. La scelta operata dal decreto fa sì che tutti gli occupati dei settori Trasporti e magazzinaggio (1 milione 143 mila); Informazione e comunicazione (618 mila); Attività finanziarie e assicurative (636 mila); Pubblica amministrazione (1 milione 243 mila); Istruzione (1 milione 589 mila); Sanità (1 milione 922 mila) e Servizi famiglie (733 mila) siano ancora attivi, sebbene per alcuni di essi (in particolare Pubblica amministrazione) proseguano quasi esclusivamente in smart working. La quota è decisamente elevata anche in agricoltura (94%, 854 mila lavoratori), così come nelle attività immobiliari, professionali, scientifiche e tecniche, noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese (74,7%, 2 milioni e 22 mila). Decisamente più contenuta è l’incidenza di lavoratori addetti in comparti ancora attivi del settore alberghi e ristorazione (14,1%, 209 mila) e delle altre attività di servizi (19,3%, 202 mila).

La quota di occupati nei settori ancora attivi – conclude l’Istat nella sua analisi – varia da un minimo del 63% nel Nord-ovest a un massimo del 74,5% nelle Isole, per effetto della diversa struttura settoriale dell’attività nelle aree del Paese. Nel Nord la quota più elevata si registra in Valle d’Aosta, Trentino alto Adige e in Liguria. Tra i dipendenti a tempo indeterminato, quelli occupati nei settori di attività economica ancora attivi sono il 69,6% (10 milioni 429 mila occupati); il valore scende se si passa ai dipendenti a termine (62,7%, pari a 1 milione 922 mila occupati), ai lavoratori autonomi senza dipendenti (60,4%, 2 milioni 367 mila) e ai lavoratori autonomi con dipendenti (51,3%, 715 mila). La quota di occupati nei settori ancora attivi aumenta inoltre all’aumentare dell’età del lavoratore: si passa dal 49,3% degli under24 (534 mila lavoratori) a circa il 73% tra gli over55 (3 milioni 760 mila). La quota tra le donne (71,3%, 7 milioni 041 mila) è di circa 10 punti percentuali superiore rispetto a quella rilevata tra gli uomini (62,2%, 8 milioni 393 mila).

(fonte: Istat)

 

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