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La ripresa non sarà facile

Posti di lavoro a rischio, possibile crollo dei consumi: queste le conseguenze più immediate della pandemia. Ma non dobbiamo avere paura, nuovi modelli di sviluppo emergeranno presto. Si tratta solo di essere realisti

di Fabio Germani

Per il Fondo monetario internazionale, quella provocata dalla pandemia, sarà una crisi economica «senza precedenti», più grave del 2008. Le previsioni spaventano, quelle relative all’Italia neanche a dirlo. Stime al ribasso che oscillano, per il 2020, da -6% a -15%. Percentuali che sembrano buttate a caso – potrebbe andare in fondo meglio di così, o addirittura peggio –, ma che hanno un punto di contatto tra loro: sarà un anno molto, molto difficile. 

Come uscirne? Stavolta la sfida è duplice, perché non si tratta solo di salvare imprese e posti di lavoro, ma anche vite umane, mentre le nostre esistenze verranno stravolte da un qualcosa di completamente inaspettato. O per meglio dire: da un qualcosa cui, globalmente, non eravamo preparati nonostante i ripetuti allarmi della comunità scientifica. 

Molte imprese potrebbero chiudere, si temono 25 milioni di disoccupati nel mondo a causa della pandemia, mentre le ore lavorate sono previste calare del 6,7% nel secondo trimestre del 2020 (pari a circa 195 milioni di posti di lavoro a tempo pieno, fonte Ilo). L’esempio statunitense è già abbastanza chiaro, con l’impennata di sussidi di disoccupazione registrata nelle ultime settimane su livelli record. Nel nostro paese i primi a farne le spese sono stati gli autonomi, in molti casi impossibilitati dal lockdown ad esercitare la propria professione (l’Italia è tra i paesi dell’Eurozona con la maggiore incidenza di lavoratori indipendenti), mentre i dipendenti a termine sono tra i più esposti al rischio. L’unico modo per evitare che si verifichino gli scenari più nefasti è quello di iniettare liquidità e la sospensione del Patto di Stabilità contribuisce ad allargare gli spazi di manovra e ad allentare almeno un po’ i rubinetti. 

Il governo si sta muovendo in questa direzione, ma il dubbio – l’elevato debito pubblico resta comunque una zavorra per l’Italia (tant’è che con l’ultimo decreto non vengono immesse risorse fresche, semplicemente lo Stato garantisce le aziende che chiederanno un prestito alle banche) – è che le somme impiegate per il sostegno al reddito e alle imprese possano risultare, alla fine, insufficienti, se non altro in termini di mancata tempestività degli interventi e possibili lungaggini burocratiche. Inoltre, ancora più importante, sarà capire i comportamenti di ciascuno di noi nel medio periodo. 

Pur ammettendo la visione ottimistica di quanti sostengono che questa si rivelerà una fase di “lavoro dietro le quinte”, di idee nuove e innovazioni da lanciare sul mercato non appena sarà passata la tempesta, di start up pronte a fare il salto, di imprese che riusciranno a riprendere l’attività con rinnovata energia e motivazioni alle stelle, c’è da fare i conti in tasca ai consumatori, coloro che a tutti gli effetti muovono l’economia, acquistando beni e prodotti. Di solito, nei periodi di incertezza, i consumi diminuiscono. In altre parole: se non ricominciamo subito a spendere i nostri soldi, l’entusiasmo iniziale della ripartenza potrebbe presto affievolirsi e portare in dote una nuova ondata di negatività. Ma è probabile che, anche se il contesto emergenziale sarà nel frattempo superato, la convivenza prolungata con il virus, in attesa di vaccino o altro tipo di cura, possa spingerci a non mettere mano al portafogli, se non per le spese essenziali e quelle non procrastinabili. 

Già nel mese di marzo, nel pieno, cioè, dell’emergenza sanitaria, l’Istat ha osservato una frenata dell’inflazione, un rallentamento che sarebbe potuto essere di proporzioni superiori se contestualmente non si fosse verificata l’accelerazione dei prezzi dei beni alimentari. Un mix micidiale, insomma, al momento dettato da ovvie ragioni, ma che potrebbe protrarsi oltre la riapertura del paese. Tendenze deflative inducono i consumatori (spesso anche le imprese) a rinviare l’acquisto di ciò di cui hanno bisogno (o eventuali investimenti), nell’attesa di un’ulteriore flessione dei prezzi. Un circolo vizioso che la nostra economia, fragile quasi per definizione, non può permettersi. 

Il ritorno alla normalità, dunque, non sarà semplice, ma questo non vuol dire che nuovi modelli di sviluppo non siano possibili. Anzi: il futuro potrebbe riservare enormi sorprese, soprattutto nella riorganizzazione delle attività produttive. Tuttavia potrebbe essere un recupero “povero”, lento, non in grado di riassorbire in un tempo breve quanto faticosamente riconquistato dopo la crisi economica e finanziaria post-2008. A quel futuro, però, dovremo arrivare con qualche certezza in più, che oggi invece manca, senza dimenticare l’esigenza (prioritaria) di garantire la salute dei cittadini nell’intero ciclo di diffusione del virus. È il principio del «whatever it takes» da estendere a tutte le categorie: imprenditori, lavoratori e consumatori.          

@fabiogermani

 

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