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Il futuro del lavoro oltre la pandemia

Festa dei lavoratori 2020: l’emergenza sanitaria ed economica ci obbliga progettare un domani diverso da come lo avevamo fin qui immaginato. Dopo la ricostruzione, riusciremo ad evitare nuovi, possibili disastri? Sì, se avremo fatto tesoro dei nostri errori

di Fabio Germani

C’è un aspetto che ancora non è entrato nell’attuale dibattito pubblico – né a livello istituzionale né sul piano tecnico-scientifico –: quale futuro per le attività lavorative dopo la pandemia? Non stiamo parlando solo delle regole (fondamentali) per la sicurezza dei lavoratori che potranno tornare alle proprie mansioni in questo timido inizio di “fase 2”, previsto per il 4 maggio, ma soprattutto di una visione più ampia, che tenga conto – ad emergenza finalmente superata – di nuove esigenze e nuovi rischi, elementi che non possiamo più sottovalutare. 

Tanti fattori e tante circostanze – sociali, politiche ed economiche – ci hanno spinto a riflettere negli ultimi anni in termini non più novecenteschi, eppure la pandemia ci sta dimostrando che non eravamo preparati ad affrontare tutto ciò. In molti casi utilizziamo strumenti che potevano essere validi nel secolo scorso, ma che non lo sono più oggi e anche le istituzioni – nazionali ed europee – viaggiano troppo lentamente rispetto al ritmo elevato del mondo circostante. Ci siamo a lungo creduti invulnerabili – e questo nonostante le minacce dei tempi attuali: terrorismo, crisi finanziarie, dispute commerciali –, mentre adesso ci scopriamo fragili e costretti a ripensare un modello di sviluppo che fin qui ha tenuto in scarsa considerazione una caratteristica dirimente per qualsiasi società: la salute pubblica e in particolare la capacità di saper gestire un’emergenza efficacemente, qualora se ne presenti la necessità. 

Un merito, se non altro, questo duro periodo lo avrà avuto. Sarà per tutti noi – per chi è al centro del processo decisionale e per i singoli cittadini – un’iniezione di consapevolezza altrimenti smarrita. Come si pone, allora, il tema del lavoro dinanzi a quanto stiamo vivendo? Sicuramente ci saranno macerie da smaltire per poi passare alla ricostruzione, tra quanti perderanno il posto di lavoro e quanti vivranno una condizione di precarietà peggiore di quella che avevano lasciato prima del lockdown. Mattone dopo mattone, andranno ristrutturati interi settori, ambiti professionali e lavorativi all’avanguardia che probabilmente dovranno introdurre correttivi immediati per non disperdere il capitale e il valore aggiunto accumulati. È in una prospettiva preoccupante e del tutto inedita che giunge questo assurdo Primo maggio 2020. 

Altro nodo cruciale sarà la tecnologia e il sostegno che può dare al mondo del lavoro e imprenditoriale. Ma andrà ripensato daccapo, pure in questo caso, lo schema immaginato fino a qui. Il problema che dovremo porci – tenuto conto del rischio legato alle macchine intelligenti e all’automazione dei processi produttivi in termini di impatto occupazionale e possibili saldi negativi – sarà piuttosto in che modo gli strumenti ad alto contenuto tecnologico potranno compensare l’assenza prolungata di tanti lavoratori per cause di forza maggiore – che abbiamo compreso non essere un’ipotesi remota –, così da non interrompere il ciclo economico in ogni sua fase e componente. 

Sono temi, quest’ultimi, a noi cari. Proprio su queste pagine, infatti, da alcuni anni indaghiamo gli effetti tangibili o plausibili nel futuro della variabile tecnologica sul mercato del lavoro e sull’economia. Non avremmo mai immaginato che Industria 4.0, smart manufacturing e A.I. potessero essere argomenti da sottoporre ad un repentino tagliando, prima, cioè, di definire con accurata evidenza in che modo avrebbero potuto cambiare (ed eventualmente migliorare) le nostre vite. Potremo, attraverso robotica e cobotica, continuare a produrre un bene anche nel pieno di una pandemia?    

Con fatica l’Europa – e l’Italia anche con maggiore difficoltà rispetto ai suoi principali partner – aveva soltanto da poco ricominciato a intravedere segnali incoraggianti dopo la spirale negativa avviata nel 2008, una crisi che tuttavia non aveva colpito tutti allo stesso modo. Nuovi divari tra aree geografiche e fasce di popolazione erano emersi negli anni, una dispersione gravissima, ma che con ingenti sacrifici stavamo tentando di risolvere. Stavolta le conseguenze dell’emergenza avranno un impatto devastante, colpiranno tutti indistintamente. Saranno la velocità di reazione e le risposte che riusciremo a dare a fare la differenza. L’obiettivo, allora, sarà evitare che i divari già osservati diventino incolmabili. Dobbiamo ricostruire e al tempo stesso progettare il futuro, creare una solida armatura – che dovrà inevitabilmente passare per il lavoro – da utilizzare in caso di pericolo. Non sarà facile perché dovremo intanto riorganizzarlo, il lavoro, rimodulare il vivere sociale al cospetto di distanze di sicurezza da rispettare e nuove abitudini quotidiane. Un fatto è però certo, per banale che ora possa apparire: non potremo farci trovare impreparati ancora una volta. Mettere una toppa quando ormai è tardi può sembrare meglio di niente, ma non aggiusta davvero le cose. Facciamo almeno tesoro di questa drammatica esperienza.

fabiogermani

 

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