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La Cina tra crisi energetiche e l’economia che rallenta

Fabbriche costrette o quasi a interrompere la produzione, province a rischio blackout: cosa sta succedendo

di Redazione

La crisi energetica cinese rischia di avere ripercussioni anche altrove. Ma intanto il problema più grande si registra proprio alle industrie e alla popolazione di almeno 17 province della Cina a causa dei tagli energetici. Una decisione che deriva, tra le altre cose, dalla volontà del presidente Xi Jinping di ridurre le emissioni inquinanti dovute al carbone. Pechino, infatti, è tra i principali produttori di CO2 mondiali, ma da qualche tempo sta transitando verso nuovi modelli di sviluppo e non fa mistero di puntare alla leadership globale in termini di produzione di energia da fonti rinnovabili. Secondo gli analisti, alla base della crisi ci sono i prezzi record raggiunti dal carbone e il rafforzamento, appunto, delle misure per il taglio delle emissioni inquinanti. 

Da un punto di vista pratico, nelle province coinvolte, tra le quali Jiangsu, Zhejiang e Guangdong che contribuiscono a circa un terzo del Pil cinese (un’area, cioè, che complessivamente vale il 66% del prodotto interno lordo), molte fabbriche hanno rallentato se non addirittura bloccato la produzione. Un rallentamento che già negli ultimi tempi era stato osservato a causa della mancanza di materie prime. Nel nord-est, dove le temperature sono già abbastanza fredde, viene riferito inoltre di cittadini che lamentano blackout e carenza di riscaldamento.  

Il rallentamento della produzione potrebbe avere conseguenze sui prezzi dei beni, dunque anche sull’export. Tutto questo mentre la Banca centrale cinese ha promesso di proteggere i consumatori esposti al mercato immobiliare, se necessario con un’iniezione di denaro, a causa della crisi in previsione di un possibile default del colosso Evergrande, su cui gravano da più di 300 miliardi di debiti.

Molti osservatori hanno però notato come entrambe le situazioni di crisi, che destano preoccupazione anche ben al di là dei confini cinesi, rientrino nell’ottica di una gestione precisa da parte di Pechino, che vuole spostare segmenti importanti di crescita e risorse dai vecchi modelli – immobiliare e completa dipendenza dai combustibili fossili (peraltro in una fase di scarsa disponibilità di scorte) – a settori di attività economica oggi ritenuti più produttivi.

Intanto, però, la banca d’affari Goldman Sachs ha reso noto di aver tagliato le sue previsioni di crescita per il 2021 per la Cina al 7,8% dall’8,2% inizialmente stimato, proprio a causa della carenza di energia e dei conseguenti tagli alla produzione industriale che aggiungono «significative pressioni al ribasso».

 

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