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Così l’inflazione e gli sviluppi geopolitici internazionali possono compromettere la ripresa

Nel 2021 il fatturato dell’industria è cresciuto del 22,6% in media annua, recuperando la caduta del 2020. Ma ora la risalita dei prezzi è il principale fattore di freno

di Redazione

Il 2021 è stato un anno di ripresa diffusa, pur al cospetto di evidenti difficoltà – ancora derivanti dal quadro pandemico – che hanno interessato alcuni settori più di altri. Il 2022, però, vede una ripresa fragile a causa degli ultimi eventi e delle conseguenze economiche più dirette. Né, in questo senso, si può escludere un rallentamento della crescita. Procediamo con ordine. Nel 2021 – spiega l’Istat nell’ultimo Rapporto sulla competitività dei settori produttivi – il fatturato dell’industria è cresciuto del 22,6% in media annua, recuperando la caduta dell’11,4% registrata nel 2020. La ripresa sul mercato interno (+24,3%) è stata più vivace di quella sui mercati esteri (+19,2%). L’aumento è stato guidato soprattutto dai beni intermedi e strumentali: metallurgia (+59,4%), legno (+34,6%), altre industrie manifatturiere (+30,8%), chimica (+29,9%). Anche i settori più in sofferenza nel 2020 hanno registrato un buon recupero: coke e raffinazione (+38,4%), tessile (+22,2%), abbigliamento (+19,4%) e pelli (+21,9%). I recenti rincari dei prodotti energetici si sono trasferiti velocemente sui prezzi dei beni intermedi e, in modo molto più graduale e parziale, su quelli dei beni finali. Gli indici di volume per la manifattura indicano una crescita pari al 15,4% nel 2021 (-7 punti percentuali rispetto a quella in valore). Ma, come si diceva all’inizio, in un contesto in cui il clima di fiducia delle imprese manifatturiere aveva raggiunto livelli storicamente elevati, l’andamento dei mercati (inflazione e carenza di materie prime) e gli sviluppi geopolitici internazionali costituiscono fattori di instabilità in grado di compromettere la ripresa: a fine 2021 ha raggiunto un massimo storico (circa 20%) anche la quota di imprese che vedeva in un’insufficienza di impianti e/o materiali un ostacolo alla produzione. Ora il marcato rialzo dell’inflazione (+6,2% a febbraio l’aumento dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo) rappresenta il principale fattore di freno: l’entità dell’impatto su redditi e consumi, sulla domanda aggregata e sulla competitività delle imprese dipenderà dall’intensità e dalla tempistica con cui gli impulsi si trasmetteranno sui prezzi finali.

Ad ogni modo, prosegue l’Istat, nei servizi il fatturato è aumentato del 14,1% nel 2021 (-12% nel 2020). La crescita, diffusa in tutti i comparti, è stata maggiore nel commercio all’ingrosso (+14,9%) e nelle attività legate al turismo, particolarmente colpite dalla crisi (+29,5% per le agenzie di viaggio, +13,8% il trasporto aereo, +28,3% l’alloggio e ristorazione). In queste ultime, tuttavia, il fatturato è ancora sotto i livelli pre-pandemia. La ripresa del 2021 ha inoltre favorito l’aumento del fatturato nel comparto dei servizi di supporto alle imprese, in particolare di quelli di ricerca e selezione del personale (+26,8%). A differenza di quanto accaduto negli ultimi anni, le spinte inflazionistiche hanno fortemente condizionato la dinamica degli scambi internazionali. Nel 2021 la variazione annuale dell’export in volume è stata inferiore a quella in valore in tutti i settori manifatturieri, in particolare metallurgia (-28 punti percentuali), gomma e plastica (-11,8 p.p.). Il fenomeno è ancora più evidente nei settori a monte delle filiere, quali raffinazione, chimica, metallurgia, dove l’aumento in volume è una frazione molto ridotta di quello in valore.

La dinamica del 2021 dell’export manifatturiero in valore (+17,5%) ha determinato per la grande maggioranza dei comparti il superamento dei livelli pre-crisi (in particolare per metallurgia, chimica, altri mezzi di trasporto, prodotti alimentari). Il recupero non si è invece concretizzato per gli autoveicoli e per la filiera del tessile, abbigliamento e pelli. Anche per le importazioni, la crescita del 2021 (+20,3%) ha portato molti settori a recuperare i valori pre-crisi, con rimbalzi più accentuati nel caso della chimica, della metallurgia e degli apparecchi elettrici. Il peso complessivo sull’export settoriale di sei principali mercati di destinazione (Germania, Francia, Regno Unito, Stati Uniti, Russia e Cina) è diminuito per mezzi di trasporto e prodotti farmaceutici (-9,8 e -7,1 punti percentuali), a causa della caduta delle vendite verso gli Stati Uniti e, per il farmaceutico, verso il Regno Unito.

Le imprese multinazionali (a controllo italiano ed estero) spiegano oltre il 75% delle esportazioni italiane, condizionandone le destinazioni. Nel 2019 il 26,6% delle vendite complessive di prodotti manifatturieri in Germania è generato da imprese a controllo tedesco. Per la metallurgia tale quota sfiora il 50%, per le pelli è pari al 61,7%, per le apparecchiature elettriche al 35,3%, per gli alimentari al 41,6%, per le bevande è circa un terzo. Le imprese a controllo statunitense generano il 14,1% del totale delle esportazioni di beni manifatturieri negli Stati Uniti (il 47,7% dell’export di mezzi di trasporto), quelle a controllo britannico l’8,9% delle vendite nel Regno Unito, quelle a controllo cinese il 4,9% dell’export in Cina.

Il Piano nazionale di ripresa resilienza

Gli interventi del Pnrr in capo al ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili (Mims) ammontano a 59,6 miliardi di euro. Un esercizio di simulazione stima in quasi 38 miliardi l’effetto degli interventi sul valore aggiunto totale del sistema (il 2,4%), con la creazione di oltre 600mila unità di lavoro equivalenti a tempo pieno. Risultano attivati in misura maggiore i comparti di costruzioni (14,1 miliardi, il 21,1% del valore aggiunto del settore), altri servizi di mercato (8,4 miliardi, il 5,3%) e manifattura (6,2 miliardi, 2,3%). Tra i diversi interventi previsti dal Piano del Mims, gli investimenti in costruzioni (33,4 miliardi dei 59,6 totali) generano l’ammontare di valore aggiunto di gran lunga più elevato in tutto il sistema (25,8 miliardi), seguiti da quelli in ricerca e sviluppo (4,5 miliardi attivati) e in servizi informatici (2,0 miliardi). Tali comparti sono anche quelli nei quali gli investimenti del piano hanno un “rendimento” maggiore: 77 centesimi di valore aggiunto per ogni euro investito nelle costruzioni, 88 centesimi per euro investito in ricerca e sviluppo, 79 centesimi per euro investito nell’informatica.

Oltre il 67% degli investimenti del Mims si concentra in settori che propagano lo stimolo al resto dell’economia in misura estesa ma lenta; quasi il 5% è destinato a comparti che trasmettono gli impulsi su ampia scala e velocemente; circa il 10% è rivolto a settori a trasmissione veloce ma con estensione limitata; poco più del 16%, infine, si rivolge ad attività a trasmissione lenta e circoscritta. Si prospetta quindi una generale propagazione dello stimolo non rapida, ma estesa all’interno del sistema economico.

 

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