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Così il calo della natalità in Italia

Record negativi per le nascite. Se non verrà invertita la rotta nel 2050 il nostro paese conterà cinque milioni di abitanti in meno

di Redazione

Senza misure incisive nel 2050 l’Italia avrà cinque milioni di abitanti in meno: la denuncia è arrivata dal presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, in occasione degli Stati generali della natalità. Secondo l’Istat nel 2050 poco più di una persona su due sarebbe in età da lavoro, con un 52% di persone tra i 20 e i 66 anni che dovrebbero provvedere sia alla cura e alla formazione delle persone sotto i vent’anni (16%), sia alla produzione di adeguate risorse per il mantenimento e l’assistenza ai pensionati (32%). In questo quadro le nascite annue potrebbero scendere nel 2050 a 298 mila unità. 

Il problema è noto così come le conseguenze economiche che ne derivano. Le cause della bassa natalità in Italia sono riscontrabili in fattori direttamente collegati, come il minor numero di donne – conseguenza del calo della fecondità avvenuto tra il 1979 e il 1995 – e l’innalzamento dell’età media delle madri al parto che si attesta, stando agli ultimi dati Istat, a 32,4 anni, che quindi riduce il periodo di fecondità della vita della donna, convenzionalmente stabilito tra i 15 e i 49 anni.

Alla base, dunque, possono esserci motivazioni sia di natura economica che sociale, che si influenzano e rafforzano a vicenda. Infatti, anche la prolungata permanenza nella famiglia di origine dei (possibili) futuri genitori e le difficoltà di accesso nel mondo del lavoro prima del raggiungimento di una stabilità economica, sono elementi che rallentano progetti e dinamiche familiari. Il 12,7% della popolazione italiana rientra nella fascia 0-14 anni, mentre gli over 65 rappresentano il 23,8% dell’intero campione, confermando la tendenza all’invecchiamento. Un quadro che negli ultimi anni, soprattutto a causa della pandemia, potrebbe essersi aggravato ulteriormente.

I nati della popolazione residente nel 2021 – si legge nell’ultimo report in materia dell’Istat – sono stati appena 399.431, in diminuzione dell’1,3% rispetto al 2020 e quasi del 31% a confronto col 2008, anno di massimo relativo più recente delle nascite. Il calo delle nascite è dunque proseguito nei primi due mesi del 2021: a gennaio si registrava la massima contrazione a livello nazionale (-13,4%), con un picco nel Sud (-15%), trend proseguito nel mese di febbraio, seppure in misura più contenuta (-4,8%).

Il deficit di nati a gennaio 2021, tra i più ampi mai registrati, osservava l’Istat, lascia pochi dubbi sul ruolo svolto dalla pandemia di coronavirus. Il crollo delle nascite tra dicembre 2020 e febbraio 2021, da riferirsi ai mancati concepimenti durante la prima ondata pandemica, è sintomo della posticipazione dei piani di genitorialità che si è protratta in modo più marcato nei primi sette mesi, per poi rallentare verso la fine dell’anno. E il rinvio delle nascite risulta essere particolarmente accentuato tra le donne più giovani.

 

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