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Le strategie delle imprese contro il caro energia

Non solo aumento dei prezzi finali, tra le misure non si escludono la riduzione degli orari di lavoro o la sospensione dell’attività nel periodo di bassa stagione. Così il sondaggio Confesercenti-SWG

di Redazione

Le imprese corrono ai ripari e studiano strategie volte a superare il momento di difficoltà dovuto al caro energia. Anche la politica ormai – in vista dell’insediamento del prossimo governo – individua proprio nella crisi energetica la priorità più urgente. Dunque imprese e famiglie vivono situazioni complicate, già abbastanza provate dalla successione di eventi degli ultimi anni e ora aggravate dallo scenario internazionale. Come osservato da Confesercenti in un sondaggio condotto insieme a SWG su un campione di imprese dell’artigianato, del turismo e del commercio con 50 dipendenti o meno, il caro energia continua a dare una spinta all’inflazione e in seguito ai recenti incrementi delle tariffe, il 36% delle PMI prevede di essere costretta ad aumentare i prezzi finali dei propri prodotti e servizi per riuscire a sostenere la stangata in arrivo per le utenze di energia e gas. Del resto, spiegano, il quadro economico è in peggioramento: solo il 10% delle PMI si aspetta per il trimestre finale del 2022 un fatturato in aumento rispetto al 2021; il 42% si aspetta un risultato stabile mentre il 37% inferiore o molto inferiore all’anno passato. 

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L’aumento dei prezzi – sottolinea Confesercenti – non è l’unica strategia introdotta dalle imprese per contrastare il boom dei costi fissi, anche perché, per molte attività, traslare gli importi delle bollette sui prezzi finali vorrebbe dire uscire fuori mercato. Il 26% delle PMI pensa perciò di limitare gli orari di lavoro e di apertura, ad esempio anticipando la chiusura per consumare meno energia. A queste si aggiunge poi un 6% che pensa ad una sospensione dell’attività nel periodo di bassa stagione. Il 18% delle PMI dichiara inoltre di stare valutando una riduzione del numero dei dipendenti. Il 13% si rivolgerà al credito, approfittando dei finanziamenti garantiti introdotti dal DL Aiuti Ter per pagare ‘a rate’ gli importi richiesti. Ma c’è anche un 12% che progetta di cambiare gli attuali macchinari ed elettrodomestici con altri a maggiore efficienza energetica.

Nella prospettiva della formazione, a breve, di un nuovo esecutivo, a chiedere misure per contenere gli importi delle bollette è il 54%, oltre un’impresa su due, mentre il 28% desidera interventi anche per frenare l’innalzamento dei prezzi di beni e servizi, in primo luogo delle materie prime. Il 33% vorrebbe invece che ci sia un’accelerzione nell’attuazione del PNNR ed il 30% la riduzione della burocrazia, mentre l’11% vorrebbe una moratoria sui finanziamenti. Il 6%, infine, chiede, un aumento delle pensioni.

E tra le priorità delle piccole imprese, prosegue Confesercenti, c’è anche il fisco: il 31% pensa che sia urgente procedere alla riduzione del cuneo fiscale, mentre il 13% chiede il taglio dell’Irpef. Più variegate, invece, le opinioni delle PMI sulla possibilità di una pace fiscale o di un condono: il 36% dice sì, dichiarandosi favorevole (25%) o molto favorevole (11%), il 29% la rifiuta, con una quota del 17% di contrari e del 12% di imprenditori del tutto contrari. Il 25%, invece, non si ritiene né pro né contro all’ipotesi. Ad ogni modo quella che è la lista delle cose da fare secondo le imprese non sempre coincide con quelle che invece sono le aspettative reali di quanto farà il futuro governo alle prime battute. Nonostante l’intervento sul caro energia sia in assoluto il più richiesto, solo l’8% – affermano Confesercenti e SWG – ritiene si arriverà ad un price cap di luce e gas. Si scommette sull’arrivo di una riforma del reddito di cittadinanza (35% delle indicazioni) e sugli interventi sull’immigrazione (32%). Anche se in misura minore, vengono ritenute probabili pace fiscale (24%), flat tax per le imprese (22%), riforma della giustizia (21%), taglio dell’Irpef (20%), e riduzione del cuneo fiscale (17%). La maggioranza relativa delle PMI (il 37%), si aspetta che la nuova legislatura sia più stabile di quella appena conclusa; il 20% meno stabile, mentre il 28% scommette su un livello di instabilità più o meno simile.

 

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