Caro energia: in Europa sono le imprese italiane a pagare di più
Secondo un’analisi Confcommercio-Nomisma a parità di consumi si registra una spesa elettrica più alta del 27% rispetto alla Spagna e del 70% rispetto alla Francia
di Redazione
Le imprese italiane pagano il conto più salato del caro energia. Secondo un’analisi comparativa realizzata da Confcommercio, in collaborazione con Nomisma Energia, infatti, confrontando la spesa teorica annuale delle bollette elettriche del mercato libero delle imprese del commercio, del turismo e della ristorazione italiane con quelle pagate dalle medesime tipologie di imprese in Francia e Spagna, emerge che il nostro paese, che aveva già il primato relativo ai prezzi di elettricità e gas più alti in Europa, con l’ultima crisi vede non solo ribadita questa debolezza, ma addirittura peggiorata.
Tutte le categorie economiche prese a riferimento, infatti, pagano in Italia, a parità di consumi e di potenza impegnata, una bolletta elettrica notevolmente più elevata: alberghi, bar, ristoranti e negozi alimentari hanno una spesa elettrica mediamente superiore del 27% rispetto alle imprese spagnole e addirittura di quasi il 70% rispetto a quelle francesi. Meno marcato il divario relativo ai negozi non alimentari che pagano, rispettivamente, l’11% e il 16% in più.
Dopo i picchi di agosto, dovuti al panico propagatosi sui mercati internazionali, in queste ultime settimane – ricorda Confcommercio – il trend al rialzo dei prezzi di energia elettrica e gas si è invertito. Il prezzo del gas TTF, quello che ha guidato i rialzi, fa segnare a ottobre una pesante flessione portandosi a circa 100 €/MWh, dopo aver superato anche i 300 €/MWh a fine agosto. Ancora più intenso il ridimensionamento dei prezzi dell’elettricità, che dipendono direttamente da quelli del gas, scesi sotto i 150 €/MWh, dopo i picchi di oltre 700 €/MWh di fine agosto.
Ad ogni modo, per quanto riguarda le famiglie, la spirale negativa dei maggiori costi dell’energia che minano i consumi nel complesso si sviluppa attraverso il canale dell’inflazione, l’aumento generalizzato dei prezzi che colpisce sia il reddito corrente, sia il valore reale della ricchezza finanziaria detenuta in forma liquida. I costi dell’energia impattano le spese obbligate, difficilmente comprimibili nel breve periodo, osserva Confcommercio. Il maggiore prezzo dell’energia, poi, si diffonde a tutte le filiere di produzione e distribuzione, quindi a tutti i consumi. In questa situazione, se i sostegni del governo, pari a circa 40 miliardi di euro alle famiglie nel 2022, compensano buona parte delle perdite di reddito, soprattutto per le famiglie meno abbienti, nulla possono contro i circa 77 miliardi di euro perdita di potere d’acquisto della ricchezza liquida, nei soli primi sei mesi del 2022. Ciò potrebbe comportare una riduzione dei consumi, rispetto a uno scenario con inflazione “normale”, di 5-7 decimi di punto percentuale. «Questo fenomeno – conclude la ricerca Confcommercio-Nomisma – assieme al perdurare dell’incertezza che non agevola la risalita della propensione al consumo, sta innescando la recessione tecnica che si concretizzerebbe nei trimestri a cavallo della fine dell’anno in corso».