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Così l’inflazione aumenta la disuguaglianza tra le diverse componenti sociali

Il divario deriva dalla diversa dinamica dei prezzi dei beni, che pesano in particolare sul carrello della spesa delle famiglie meno abbienti

di Redazione

L’inflazione non solo colpisce i redditi fissi o comunque tendenzialmente stabili nel medio periodo, aumenta anche la forbice della disuguaglianza tra le diverse componenti sociali. A osservarlo è il Censis nel 56° Rapporto sulla situazione sociale del Paese/2022. L’impennata dei prezzi dell’energia – scrive il Censis–, propagatasi velocemente anche agli altri tipi di beni (alimentari, spese per la casa, trasporti, eccetera), sta comportando una perdita netta del potere d’acquisto dei lavoratori dipendenti. L’indice armonizzato dei prezzi al consumo (Ipca) è aumentato nel primo semestre del 2022 del 6,7% rispetto al primo semestre del 2021. Nello stesso periodo, le retribuzioni contrattuali del lavoro dipendente a tempo pieno sono aumentate solo dello 0,7%. 

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Quanto alla disuguaglianza tra le diverse componenti sociali, le famiglie meno abbienti si confrontano con un incremento medio dei prezzi pari al 9,8%, mentre per le famiglie più agiate l’aumento è del 6,1%, quasi quattro punti percentuali in meno. Questo divario discende dalla diversa dinamica dei prezzi dei beni (alimentari e per la casa su tutti) che pesano in particolare sul carrello della spesa delle famiglie meno abbienti. Nell’ultimo periodo, tra il 2012 e il 2021 – aggiunge il Censis –, l’andamento dei prezzi riflette le conseguenze di una fase tendenzialmente deflattiva per l’Italia (in media 0,7% annuo), caratterizzata soprattutto da una moderazione salariale che ha di fatto rimosso qualsiasi rischio di innesco della spirale prezzi-salari. Ma gli attuali livelli di inflazione, con punte di rialzo dei prezzi dei beni alimentari intorno all’11%, senza contare gli incrementi del 50% dei beni energetici, potrebbero incidere profondamente sul potere d’acquisto delle famiglie.

Il 51% dei lavoratori dipendenti in Italia è attualmente in attesa del rinnovo contrattuale, osserva poi il Censis. Nel settore privato la quota scende al 36,5%, mentre nella Pubblica Amministrazione il mancato rinnovo riguarda la totalità dei dipendenti (100%). I mesi di vacanza contrattuale vanno dai 35 del settore pubblico ai 31 del settore privato. In ogni caso l’attesa di vedere rinnovato il contratto collettivo nazionale sfiora i tre anni. In sintesi, sono 6,3 milioni i dipendenti con contratto scaduto e non ancora rinnovato, di cui 3,5 milioni nel settore privato e 2,8 nel settore pubblico. Oggi in Italia nel settore privato si contano oltre quattro milioni di lavoratori che non raggiungono una retribuzione annua di 12 mila euro. Di questi, 412 mila hanno un contratto a tempo indeterminato e un orario di lavoro a tempo pieno. Il lavoro dipendente non è più al riparo del pericolo della povertà. Nel 2021, sul totale degli occupati, il 9,7% si trovava in condizioni di povertà relativa.

 

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