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Le sfide del futuro: la scuola e l’istruzione

Nonostante i progressi, l’Italia mostra ancora numeri elevati in termini di dispersione scolastica. Resta, poi, l’annosa questione dei NEET

di Redazione

Tra le sfide del futuro, nei classici bilanci di fine anno, compare anche il rilancio della scuola e dell’istruzione in generale. L’ultimo periodo è stato caratterizzato da dispersione e abbandono, nonché dalla conseguente diminuzione della popolazione scolastica. In parte influisce negative il trend demografico (calano gli iscritti alla scuola, a partire da quella dell’infanzia, in maniera direttamente proporzionale al calo del numero dei nati che si registra gradualmente da diversi anni a questa parte), in parte la situazione si è aggravata a causa della pandemia e delle difficoltà economiche sopraggiunte con la recente crisi.

Foto di Redd F su Unsplash

Già a settembre, in vista della ripresa dell’anno scolastico, Save The Children aveva evidenziato come la povertà assoluta riguardi, nel 2021, un milione e 382 mila minori in Italia, il 14,2%, in crescita rispetto al 2020 (13,5%). «Le conseguenze della crisi energetica e dell’impennata dell’inflazione, che ha un impatto maggiore sulle famiglie meno abbienti e con minore capacità di spesa (+9,8%, contro il +6,1% delle famiglie con livelli di spesa più elevati) – scriveva l’organizzazione –, sono una grave minaccia e potrebbero sospingere rapidamente un numero ancora maggiore di minori nella povertà».  

Ma a tutto ciò, notava ancora Save The Children, va aggiunto anche un impoverimento educativo che stava ancora scontando gli effetti di Covid e DAD, soprattutto tra i minori già in svantaggio socioeconomico. «Il 9,7% degli studenti con un diploma superiore nel 2022 si ritrova in condizioni di dispersione “implicita”, cioè senza le competenze minime necessarie (secondo gli standard INVALSI) per entrare nel mondo del lavoro o dell’Università, mentre il 12,7% dei minori – osservava sulla base di dati Eurostat – non arriva neanche al diploma delle superiori, perché abbandona precocemente gli studi». E anche in questo caso, il confronto con l’Europa risultava pesante, perché nonostante i progressi l’incidenza della dispersione scolastica resta in Italia tra le più elevate dopo Romania (15,3%) e Spagna (13,3%), tenuto conto dell’obiettivo del 9% entro il 2030 stabilito dall’UE.

Secondo l’Istat, che raccoglie i dati nell’Annuario statistico italiano 2022, nell’anno scolastico 2020/2021 prosegue la flessione della popolazione scolastica, che si attesta a un totale complessivo di 8.327.187 unità, con 130.510 iscritti in meno rispetto all’anno precedente (-1,5%). Gli iscritti diminuiscono soprattutto nelle scuole dell’infanzia e nelle scuole primarie, dove si registrano rispettivamente 76.939 bambini e 68.901 alunni in meno. Inoltre, in controtendenza con il dato dell’anno scolastico precedente, si osserva una flessione degli iscritti nelle scuole secondarie di primo grado (-20.502), mentre le scuole secondarie di secondo grado registrano un aumento del numero di studenti iscritti (+35.832). «La diminuzione degli iscritti nei primi ordini scolastici è in linea con il calo demografico nelle classi di età corrispondenti, ed è particolarmente evidente tra chi ha cittadinanza italiana», osserva al riguardo l’Istat.

Compiendo un balzo in avanti e proiettandoci alla scuola secondaria di secondo grado, rileva l’Istat che se il un numero complessivo di diplomati è pressoché identico per maschi e femmine, la distribuzione per tipo di scuola varia sensibilmente. Infatti, già al momento del diploma di scuola secondaria di secondo grado si evidenzia una minore presenza delle ragazze nel settore scientifico-tecnologico: sebbene più del 60% consegua un diploma liceale (contro il 38,7% dei maschi), solo il 19% lo consegue in un liceo scientifico (contro il 25,2% dei ragazzi). Anche il diploma di istituto tecnico (soprattutto nell’indirizzo tecnologico) è prevalentemente maschile. Ad ogni modo nel 2020, il tasso di scolarità e il tasso di conseguimento del diploma di scuola secondaria di secondo grado in Italia continuano a essere molto elevati (rispettivamente 85,6% e 90,1%) e simili a quelli degli altri paesi europei (in media per i paesi membri Ocse dell’Unione europea sono rispettivamente 88% e 78,9%), nonostante la quota di spesa per istruzione sia più bassa della media europea. Nel 2019, ricorda a tale proposito l’Istituto nazionale di statistica, rappresentava il 3,6% del PIL, contro il 4,2% della media europea (il 4,7% in Francia).

La quota dei giovani che si immatricolano all’università nello stesso anno del conseguimento del diploma, invece, è pari al 51,9% nel 2020/2021 (+0,5% rispetto all’anno precedente), mentre il tasso di passaggio femminile sale al 59,1% (era il 57,7%) e quello maschile cala lievemente (-0,4%), attestandosi al 44,7%. Eppure, anche se si conferma la maggiore presenza femminile tra gli immatricolati (sono donne il 54,1% di coloro che si iscrivono per la prima volta all’università nei corsi di laurea di primo livello e il 67,8 per cento degli immatricolati nei corsi di laurea magistrale a ciclo unico), la presenza di ragazze è decisamente più contenuta nella maggior parte dei corsi dell’area Stem. 

Cosa succede, però, quando avviene l’abbandono scolastico? In diversi casi quest’ultimo si traduce in NEET, i 15-29enni fuori da ogni percorso di lavoro, istruzione o formazione. Il numero dei NEET nel nostro paese, ricordava Save The Children nella sua indagine, raggiunge il 23,1% ed è addirittura il più alto rispetto ai paesi UE (media 13,1%), segnando quasi 10 punti in più rispetto a Spagna (14,1%) e Polonia (13,4%) e più del doppio se si considerano Germania e Francia (9,2%).

Attualmente – è infine l’analisi del Censis nel 56° Rapporto sulla situazione sociale del Paese/2022– vi sono 7,5 milioni di 0-14enni (il 12,7% della popolazione) e 12,1 milioni di 15-34enni (il 20,5% del totale): rispetto a vent’anni fa sono diminuiti rispettivamente di 620.470 e 3,1 milioni di unità. Tra vent’anni ci sarà una riduzione ulteriore di 1,1 milioni di 0-14enni e di 1,7 milioni di 15-34enni. «La crisi demografica accende una luce sulla difficile condizione attuale dei giovani», scrive allora l’istituto. Nel 2021 in Italia il tasso di occupazione dei lavoratori 15-34enni è pari a 41% (media UE: 56,5%). Il reddito medio lordo a parità di potere d’acquisto di un giovane di 18-24 anni in Italia (17.810 euro) è inferiore di 836 euro rispetto a quello di un coetaneo in Francia e di circa 6.600 euro rispetto a quello di un giovane tedesco. Ampia è la distanza anche dal reddito di un giovane in Belgio (-5.232 euro) e in Austria (-7.800 euro circa). Ma la generazione attuale di giovani è la più qualificata che ci sia mai stata nel nostro paese: possiede la laurea il 28,3% dei 25-34enni.

 

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