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La crisi riduce il numero di studenti che lavorano

In dieci anni la quota si è dimezzata e nel tempo è leggermente aumentato il pendolarismo
di Redazione

La crisi economica, come si è visto più volte, ha modificato abitudini che in passato sembravano consolidate. Vale per gli standard di consumo o la propensione al risparmio delle famiglie, l’organizzazione del lavoro nelle aziende, i mercati internazionali. Allo stesso modo anche i più giovani, seppure impegnati negli studi, devono cambiare abitudini, con possibilità lavorative (o salariali) talvolta ridotte.

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Di norma le stime dell’Istat sulla disoccupazione giovanile (che comprende la fascia di età 15-24 anni) escludono dal calcolo i giovani inattivi, cioè coloro che non sono occupati e non cercano lavoro, nella maggior parte dei casi perché impegnati negli studi.
Così – prendiamo ad esempio i dati di settembre 2016, gli ultimi disponibili – il tasso di disoccupazione, che considera la quota di giovani disoccupati sul totale di quelli attivi (occupati e disoccupati), risulta al 37,1% (in calo di 1,2 punti percentuali rispetto ad agosto) mentre l’incidenza dei giovani disoccupati tra 15 e 24 anni sul totale dei giovani della stessa classe di età è pari al 9,8% (cioè poco meno di un giovane su dieci è disoccupato).
L’Istat, tuttavia, aggiornate le tabelle al 2015, ha osservato come sia diminuito il numero di studenti-lavoratori, tra cui quelli universitari che di solito si pagano gli studi (o contribuiscono alle spese sostenute dalla famiglia di orgine) con un lavoro, spesso part-time.
In generale, nel 2015, gli studenti con un’occupazione erano 75 mila, il 2% del totale di chi è impegnato in percorsi formativi tra i 15 e i 24 anni. In dieci anni il numero di chi studia e lavora si è, in pratica, dimezzato: -51% rispetto al 2005). Sul 2008, quando si registrò un picco, il calo è addirittura del 60%. Questo nonostante nel frattempo gli studenti siano aumentati.
In tale contesto risultano in aumento gli inattivi, coloro non cercano occupazione (3 milioni e 476 mila). Nella fascia di età 20-24 anni, gli studenti lavoratori sono diminuiti in dieci anni del 46% (a 64 mila da 119 mila unità), anche in questo caso il confronto con il 2008 è meno lusinghiero (-57%).
La situazione appena descritta era stata già osservata lo scorso anno nell’indagine Eurostudent, che mostrava anche alla luce di dati analoghi (meno studenti-lavoratori in circolazione), un leggero aumento del pendolarismo, ovvero di ragazzi e ragazze che studiano in altre città ma restano a vivere con la famiglia di origine.
Dallo studio emergeva che in tre anni la quota di studenti che svolgono un lavoro retribuito è sceso dal 39 al 26%. In Europa la pratica resta piuttosto diffusa nonostante la crisi ed è utile, oltre che per una minore dipendenza economica dalle famiglie, anche per migliorare competenze ed accumulare esperienza. Una migliore alternanza scuola-lavoro rafforzerebbe le prospettive di occupabilità, portando un miglioramento anche in termini di competitività.

 

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