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Aumentano le differenze generazionali

Anche il divario di genere resta una criticità del nostro mercato del lavoro
di Redazione

I primi miglioramenti si erano già intravisti nel 2014, nel 2015 si sono consolidati. I segnali di crescita dell’occupazione hanno così reso più dinamico il mercato del lavoro, anche se ultimamente abbiamo assistito a dei rallentamenti. E in ogni caso la ripresa avviene a ritmi inferiori rispetto a quanto si registra in altri paesi europei. In più restano alcune criticità, che coinvolgono in quota superiore le categorie più vulnerabili: la componente femminile e i giovani.

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Se per la prima volta dall’inizio della crisi, si è osservato un parziale ridimensionamento del tradizionale gap territoriale tra Centro-Nord e Mezzogiorno – ricorda l’Istat nel rapporto Bes 2016 (benessere equo e sostenibile) –, altrettanto non si può dire per quanto riguarda i divari di genere e intergenerazionali.
Durante la prolungata fase recessiva il divario di genere si era in verità ridotto (anche a causa della perdita dei posti di lavoro), ora è tornato ad aumentare a vantaggio degli uomini (il gap nel tasso di occupazione è aumentato da 19 a 20 punti percentuali, dice l’Istat). In compenso si è ridotta, di poco, la disparità in termini di mancata partecipazione al lavoro: il 26,8% delle donne che vorrebbero lavorare non riesce contro il 19% degli uomini.
Le differenze di genere si continuano a rilevare anche negli indicatori che fanno riferimento alla qualità del lavoro. Ad esempio tra i lavoratori a termine da almeno cinque anni, il divario è quasi raddoppiato (da 1,6 a 3,1 punti). La quota di occupati in part time involontario, in aumento tanto per gli uomini quanto per le donne, resta evidente. Nel 2015, infatti, l’indicatore per le donne risulta più del triplo di quello degli uomini (rispettivamente 19,4% e 6,4%).
C’è un indicatore che però è cresciuto di più per la componente maschile: la sovraistruzione. In generale le donne sono le più svantaggiate sul piano della valorizzazione del capitale umano (il 25,2% è sovraistruita, contro il 22,4% degli uomini), ma nella componente maschile l’incremento è maggiore: +0,7 punti contro +0,4 punti delle donne.
Per quanto riguarda le classi di età più giovani, si ampliano le differenze intergenerazionali. Il tasso di occupazione, infatti, aumenta in modo sostenuto soltanto per gli ultracinquantacinquenni
(+2 punti), che ritardano l’uscita dal mercato del lavoro per effetto delle recenti riforme previdenziali. Tuttavia l’indicatore torna a crescere sia per i giovani 20-34enni (+0,2 punti) sia
per gli adulti under55 (+0,3 punti).
Si registra qualcosa di analogo in riferimento al tasso di mancata partecipazione. Nonostante
la riduzione dell’indicatore per i giovani e l’aumento per i 55-74enni – spiega l’Istat –, tra i 15-34enni il valore del tasso rimane più che doppio in confronto a quello dei 55-74enni (36,1% contro 14,2%). E ancora: gli indicatori di qualità del lavoro presentano andamenti più positivi per la componente più anziana, ampliando il gap con i giovani. Nello specifico lo scorso anno la quota di dipendenti con bassa remunerazione tra gli under 35 è stata più che doppia rispetto a quella delle classi di età adulte.

 

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