Colf e badanti, non più solo donne straniere
Data la percentuale non bassa di persone over 80 nel nostro paese, circa il 6,5% della popolazione, appare inevitabile la corrispondenza di un alto numero di addetti alla loro cura e assistenza. Partendo dagli ultimi dati disponibili dell’Inps relativi al 2015, infatti, si stima che la spesa delle famiglie italiane, per collaboratori domestici, ammonti a circa 7 miliardi di euro di cui 947 milioni sono i contributi versati allo Stato. Ciò equivale a dire che nel nostro paese sono regolarmente assunti 886.125 lavoratori domestici, divisi tra badanti e colf (con una maggioranza del 57,6% di questi ultimi).
Il dato in lieve calo rispetto alle rilevazioni relative all’anno precedente, è comunque positivo poiché fa notare un generale aumento dal 2007, che è il risultato di un accresciuto numero dei lavoratori, ma anche una di maggiore diffusione di contratti regolari. La regolarizzazione come contrasto all’economia sommersa è legata all’intensificazione dei controlli, alla sanatoria del 2012 e ad un mutamento dei lavoratori stessi.
Relativamente al 2015 è sì diminuito il numero assoluto di collaboratori domestici (seppure non in tutte le categorie), ma è aumentata la componente italiana che secondo lo studio condotto dalla Fondazione Leone Moressa con l’associazione Domina è la seconda nazionalità più diffusa in questo ambito alle spalle della Romania. Quindi aumentano le badanti e nello specifico quelle di nazionalità italiana. Spicca il Sud Italia e in particolar modo la Calabria dove si è registrato un aumento del 21,5% di collaboratori italiani.
Occorre a questo punto sfatare un secondo mito, non solo l’ambito del lavoro domestico non è esclusivamente di lavoratrici straniere, ma ormai la domanda e offerta includono un numero sempre crescente di uomini. Secondo lo studio condotto dall’Associazione Donne & Qualità della vita su un campione di 1000 italiani disoccupati tra i 18 e i 57 anni, risulta che uno su due è pronto ad intraprendere la carriera nell’assistenza familiare. Le ragioni che motiverebbero tale scelta sono varie, ma la maggior parte del campione, il 77% lo farebbe per scopi economici, tanto che il 22% dichiara di “mirare” al lungo termine, ovvero ad un posto nel testamento dell’anziano accudito. L’aspetto economico è quindi un fattore chiave che spinge gli italiani a riscoprire i lavori domestici fuori dalle proprie mura di casa, ma è anche causa della diminuzione del numero di colf (stando ai dati sulle assunzioni regolari). Quello che spinge invece gli anziani e le proprie famiglie a prediligere un collaboratore domestico italiano (si parla per entrambi i sessi) riguarda una minore differenza culturale, a cui seguono un maggiore livello di cultura e informazione, di conoscenza della città e possibilità di spostamento (è meno probabile che un italiano non abbia la patente rispetto ad uno straniero). Quindi cause legate maggiormente alla sfera culturale e linguistica, nonostante il fatto che gli italiani sono disposti ad offrire lavoro di compagnia più che di assistenza totale e spesso preferiscono la paga oraria, al contrario degli stranieri che accettano di prestare servizio giorno e notte, compensando con l’alloggio loro fornito.