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Un sistema elettorale senza italiche fantasie

di Stefano Iannaccone

La modifica del sistema elettorale è diventata una priorità anche per il Pdl: la spinta del referendum ha riportato sul tavolo del centrodestra un boccone assai indigesto. L’annuncio del segretario Alfano ha riaperto l’estenuante dibattito sulla riforma per l’elezione dei parlamentari, ma la sensazione generale è che si navighi in acque tempestose con capitani poco esperti della materia. La danza tra i tifosi del proporzionale e gli ultrà del maggioritario assomiglia ad una pantomima che può condurre all’ennesima legge-papocchio. L’argomento andrebbe invece discusso con rigore e serietà, depurandolo dagli interessi dalla strumentalizzazione tipica della politica.
Il principio da cui partire è banale: non esiste un sistema elettorale perfetto, ma è possibile scrivere un meccanismo ragionevole. Basta compiere semplici osservazioni. L’Italia è un Paese tendenzialmente proporzionale: l’esistenza di mille campanili (e di cento partiti) richiede quindi un sistema che ponga particolare attenzione alla rappresentanza, senza anteporre l’ideologia della governabilità imposta, come avviene con il premio di maggioranza (che per inciso non garantisce affatto stabilità). L’attuale legislatura ha fatto emergere l’impossibilità di eliminare i medio-piccoli partiti in Italia: le fanfare bipartitiche, che suonavano con vigore dopo il voto del 2008, sono state riposte dinanzi alla flessione costante del consenso di Pd e Pdl.
I modelli da cui prendere spunto, pertanto, sono il tedesco e lo spagnolo. Il primo, con soglia di sbarramento al 5% (chi resta sotto tale soglia non entra nel Bundestag), prevede la creazione di collegi uninominali che garantiscono la possibilità di “scegliere” il proprio rappresentante. Un modo semplice per accontentare i sostenitori della selezione dei parlamentari (benché sia doveroso ricordare che “la scelta del candidato” può diventare un’arma micidiale in alcune aree del meridione). Il modello spagnolo, che ha liste bloccate, suddivide il territorio in province e ciascuna rappresenta una circoscrizione, in cui si distribuiscono i seggi a partire dal minimo di 1 ad un massimo di 35. La ripartizione avviene a carattere locale, favorendo la presenza in Parlamento di forze regionaliste.
Insomma, i partiti italiani possono evitare complicati alambicchi tra “premi di maggioranza”, “premier indicati prima delle elezioni” e altre fantasie italiche. A volte basta saper imitare, compiendo giusto qualche minimo accorgimento.

 

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