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Cresce l’occupazione, i salari molto meno. Perché?

Nonostante un timido aumento, in Italia la crescita del salario lordo per ora lavorata è tra le più basse dell'Eurozona. Ma il nostro non è un trend isolato del tutto
di Fabio Germani

Con la disoccupazione in calo (in Italia e altrove), perché non aumentano i salari? È una domanda legittima a cui si può tentare di dare qualche risposta a livello generale. Restando per il momento al caso italiano, prima ci sono tuttavia da osservare due cose. La prima: in realtà nel nostro paese i salari sono aumentati negli ultimi anni. La seconda: seppur lievemente è anche diminuito il gender gap, che però resta abbastanza ampio. C’è anche qualche però, come era possibile immaginare.

I salari in Italia hanno registrato un rialzo, ma stando all’ultimo Osservatorio Jobpricing (Salary Outlook) il 2017 si è chiuso con un rallentamento rispetto all’anno precedente. In più bisogna tenere conto di alcuni andamenti generali. Secondo l’Ocse da noi la crescita del salario lordo per ora lavorata è tra le più basse dell’Eurozona, siamo anche sotto la Grecia. In più non dobbiamo dimenticare che in Italia tasse e contributi incidono molto sulle buste paga dei lavoratori al punto da occupare la terza posizione nell’area Ocse per peso del cuneo fiscale. Per quando riguarda il gender gap, stando ai dati Eurostat, non siamo messi peggio di altri partner europei, ma le distanze tra uomo e donna si fanno sentire non poco (il Global Gender Gap Index del World Economic Forum aveva stimato poco tempo fa una differenza di oltre tremila euro).

Il trend, ad ogni modo, non interessa solo l’Italia. Anche gli Stati Uniti non registrano da tempo un cospicuo aumento dei salari, sebbene il tasso di disoccupazione sia molto basso – ora al di sotto del 4% – e tornato sui valori del 2000. In un articolo pubblicato in Italia dal Sole 24 Ore, Paul Krugman non esclude che il motivo sia da ricercarsi nell’ombra lunga della crisi economica. I datori di lavoro, in pratica, preferiscono mantenere lo stato delle cose in quanto il possibile ritorno di un periodo sfavorevole li inchioderebbe – nel caso di un aumento concesso in precedenza – a quei salari. Tagliarli, invece, è un’operazione che porterebbe in dote ripercussioni negative, in maniera molto più diretta dell’eventuale erosione al netto dell’inflazione. Ma quali fattori frenano la crescita dei salari?

Qualcuno potrebbe rispondere l’impatto dell’automazione dei processi produttivi. La situazione però è più complessa di così e alla domanda ha già provato a rispondere il Fondo monetario internazionale. In molti paesi del mondo il calo della disoccupazione è stato dovuto soprattutto all’incremento di lavori e impieghi a condizioni non troppo vantaggiose. Per dirla diversamente, dove i tassi di lavoro part-time involontario sono più alti (la situazione interesserebbe gli occupati che lavorano meno di 30 ore a settimana), i salari sono al contrario più bassi per effetto del calo delle ore lavorate e nonostante il contributo alla ripresa della partecipazione della forza lavoro, tra occupati e disoccupati.

La questione salariale resta comunque una delle principali preoccupazioni, in particolare proprio in Italia. Molti studi, negli anni più duri della crisi ma anche nei periodi successivi, hanno messo in luce come tanti giovani disponibili a trasferirsi all’estero per lavoro basano le potenziali scelte sui compensi più elevati che contano di percepire altrove rispetto a quelli riconosciuti ai coetanei che decidono di rimanere. E i dati – da quelli Ocse alle rilevazioni in materia, ad esempio, di AlmaLaurea – sono lì a confermarlo, con Germania e Francia (ma non solo) a offrire in questo senso maggiori opportunità.

GALASSIA LAVORO

@fabiogermani

 

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