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Mezzogiorno e lavoro, i giovani in fuga

Negli ultimi 16 anni «hanno lasciato il Mezzogiorno 1 milione e 883 mila residenti», di cui la metà giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni. Le anticipazioni del rapporto Svimez dicono già molto dei ritardi che ancora oggi interessano l'Italia
di Redazione

I dati non molto positivi dell’Istat sull’occupazione fanno il paio con quelli, tutt’altro che lusinghieri, della Svimez (l’Associazione per lo Sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno), che ha diffuso le anticipazioni del consueto rapporto annuale sulle condizioni socioeconomiche del Sud Italia. Intendiamoci: non c’è alcun collegamento diretto tra le due analisi, ma se vogliamo capire (anche) perché la disoccupazione nell’ultimo periodo è rimasta pressoché stabile (attorno all’11%), pure a fronte di un miglioramento dei livelli occupazionali, è opportuno allargare l’orizzonte prendendo in considerazione tutte le variabili. I divari Nord-Sud, ad esempio, restano una zavorra per la nostra crescita e di certo non favoriscono una ripresa netta del mercato del lavoro.

Anche qui è doveroso precisare: negli ultimi anni il Mezzogiorno ha mostrato importanti segnali di risalita economica. Ma è ancora troppo poco e sopratutto rimangono ampie le differenze territoriali. Lo conferma proprio la Svimez. Nel 2019, si afferma, «si rischia un forte rallentamento dell’economia meridionale». La crescita del Pil «sarà pari a +1,2% nel Centro-Nord e +0,7% al Sud». Nel corso del 2017 è proseguita la lenta ripresa, che ha riguardato più o meno tutte le regioni interessate, fatta eccezione per il Molise che è l’unica ad aver fatto registrare un andamento negativo del Pil (-0,1%). Eppure, nonostante il trend che resta sostanzialmente in territorio positivo (ma a rischio in assenza di politiche adeguate), c’è un aspetto che più di tutti dovrebbe destare preoccupazione: negli ultimi 16 anni «hanno lasciato il Mezzogiorno 1 milione e 883 mila residenti», di cui la metà – tenete bene a mente questo dato, che tra poco tornerà di nuovo utile – «giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni, quasi un quinto laureati, il 16% dei quali si è trasferito all’estero. Quasi 800 mila non sono tornati». A questo si aggiunga il numero di famiglie in cui tutti i componenti sono in cerca di occupazione che è raddoppiato tra il 2010 e il 2018, passando da 362 mila a 600 mila (470 mila nel Centro-Nord).

Ora, tutta questa situazione, va a scapito dei più giovani (ricordate il dato dei 15-34enni?) al punto che la Svimez la definisce un «drammatico dualismo generazionale». In pratica «il saldo negativo di 310 mila occupati tra il 2008 e il 2017 al Sud è la sintesi di una riduzione di oltre mezzo milione di giovani tra i 15 e i 34 anni (-578 mila), di una contrazione di occupati nella fascia adulta 35-54 anni (-212 mila) e di una crescita concentrata quasi esclusivamente tra gli ultra 55enni (+470 mila unità)». In altre parole si è «profondamente ridefinita la struttura occupazionale a sfavore dei giovani». Ed è in questa area grigia che si pssono osservare maggiormente i working poors, i lavoratori che svolgono mansioni a bassa retribuzione. Questa istantanea – per il 2019, poi, si prevede un rallentamento degli investimenti pubblici – spiega molto dei ritardi che ancora interessano il nostro paese.

 

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