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Le variabili del mercato del lavoro

Migliorano i livelli occupazionali, ma sullo sfondo restano quelle criticità che spiegano dati spesso non esaltanti: dai fattori di genere al divario sempre più ampio tra i diversi gradi di istruzione
di Redazione

Nel complesso i livelli occupazionali in Italia – precisiamo che il riferimento è al 2017 – sono migliorati nell’ultimo anno. La conferma arriva proprio dall’edizione 2018 dell’annuario statistico dell’Istat, che però svela dei dati interessanti che contribuiscono ad una maggiore comprensione dell’andamento del nostro mercato del lavoro, dei suoi ritardi e delle difficoltà rispetto ai partner europei.

Non molti giorni fa Linkiesta ricordava le stime del World Economic Forum secondo cui l’Italia sarebbe al primo posto nel mondo per iscritte a percorsi rmativi avanzati e, contestualmente, tra i peggiori per la partecipazione femminile all’economia. Una situazione che si riflette direttamente sui livelli occupazionali, nonostante trend – nel 2017, sempre – apparentemente a favore delle donne. L’anno scorso, scrive l’Istat, «l’aumento dell’occupazione riguarda in maggior misura le donne, sia nei valori assoluti sia nel tasso. Ciononostante il tasso di occupazione femminile è ancora molto distante da quello maschile: su cento donne tra 15 e 64 anni meno della metà è occupata (48,9 per cento), mentre gli uomini che lavorano sono il 67,1 per cento».

Siamo alle solite: il divario di genere può essere associato all’assenza di politiche di conciliazione degne di questo nome (asili nido e servizi a costi accessibili) e a tutte quelle forme discriminatorie che direttamente o indirettamente sono ad essa legate. Al divario di genere possiamo poi aggiungere quello generazionale. Anche in questo caso, i dati comunque in miglioramento celano un problema che rimane sullo sfondo, ma che è tutt’altro che trascurabile: l’invecchiamento della popolazione, quindi l’invecchiamento della forza lavoro. Altro aspetto che in parte c’entra con l’assenza di politiche di conciliazione. Ricapitolando: per il secondo anno si registra l’aumento del numero degli occupati di 15-34 anni (45 mila, +0,9%) a cui si associa la crescita del tasso di occupazione (+0,7 punti). Tale aumento, spiega l’Istat, riguarda soprattutto la fascia di età 25-34 anni, per la quale il tasso di occupazione si attesta al 61,3 per cento (+1,0 punti). Tra i 35 e i 44 anni – qui il punto critico – il calo della popolazione influisce sulla variazione negativa dell’occupazione, ma il rispettivo tasso aumenta al 73,1 per cento (+0,5 punti), mentre prosegue la decisa crescita del numero di occupati e del tasso per le classi di età più adulte, in particolare per i 55-64 anni. «L’incremento dell’occupazione in questa fascia d’età è dovuto a un insieme di fattori: l’inasprimento dei requisiti per accedere alla pensione, l’aumento della popolazione in questa classe di età e il maggiore investimento in istruzione rispetto alle generazioni precedenti».

Infine, il grado di istruzione, appunto. Nel 2017 la crescita del tasso di occupazione 15-64 ha riguardato tutti i titoli di studio, ma è stato più robusto per i laureati (+0,7 punti), ampliando così i già elevati divari tra i livelli di istruzione. Il tasso di occupazione, infatti, passa dal 30,1% di chi possiede al massimo la licenza elementare al 78,3% per i laureati. Il vantaggio di chi ha raggiunto il livello di istruzione più elevato si riscontra in tutte le fasce di età, in particolare tra i 45 e i 54 anni l’indicatore per i laureati supera il 90 per cento. Solo per i giovani sotto ai 25 anni il tasso di occupazione è lievemente più alto tra i diplomati, per via dell’ingresso più tardivo nel mercato del lavoro di chi ha prolungato gli studi.

(fonte: Istat)

 

1 Commento per “Le variabili del mercato del lavoro”

  1. […] 18,7% in Italia e 31,4% nella media UE. Il dato interessante – molto più che su queste pagine ce ne siamo occupati proprio di recente – è che il livello di istruzione delle donne risulta più elevato di quello maschile: il 63% ha […]

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