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La lettera della BCE, gli NPL e il crollo dei titoli delle banche italiane

Da martedì i titoli in borsa delle banche italiane sono in calo. La causa è da ricercarsi un una lettera inviata dalla BCE agli istituti di credito
di Matteo Buttaroni

Dopo un avvio in leggero recupero, questa mattina la borsa di Milano è riscesa sotto il punto di parità, soffrendo soprattutto le performance delle banche già osservate nell’arco della giornata di ieri. Durante i primi scambi odierni, infatti, Monte dei Paschi di Siena ha ceduto oltre il 5%, Ubi e Bpm oltre l’8% e Unicredit e IntesaSp tra il 2 e il 4%. Per capire il motivo di queste flessioni (in particolare quella di MPS) bisogna fare un passo indietro.

La scorsa settimana (venerdì 11 gennaio) Monte dei Paschi di Siena ha reso noto che «il 5 dicembre 2018 la Banca ha ricevuto dall’Autorità di vigilanza (dalla BCE) una bozza di decisione che stabilisce i requisiti prudenziali, basati sul processo di revisione e valutazione prudenziale […]. Requisiti prudenziali sia quantitativi (fondi propri) che qualitativi per BMPS, e indica alcune raccomandazioni alla Banca».

Tra le varie raccomandazioni, tra cui quella di migliorare la capacità di conseguire gli obiettivi del piano di ristrutturazione, in quella più preoccupante la BCE «raccomanda a BMPS di implementare, nei prossimi anni (fino alla fine del 2026) un graduale aumento dei livelli di copertura sullo stock di crediti deteriorati in essere alla fine di marzo 2018, secondo una logica complementare alle indicazioni fornite nell’Addendum alle Linee guida della BCE per le banche sui crediti deteriorati (NPL) generati a partire da Aprile 2018».

Ora, il problema è che, secondo quanto spiegato martedì 15 gennaio da Il Sole 24 Ore, sembra che la Banca centrale europea abbia mandato una raccomandazione simile a tutte gli istituti europei (119): ridurre il peso degli NPL in maniera graduale (ogni banca con le sue linee guida), ma con una deadline già definita, il 2026.

Va da sé che a giustificare gli ultimi crolli in borsa degli istituti italiani è proprio l’azzeramento degli NPL che in Italia alla fine del 2017 si attestavano a 264 miliardi di euro, in forte diminuzione rispetto al picco di 341 miliardi toccato nel 2015, ma evidentemente non abbastanza per tranquillizzare gli istituti di credito del nostro Paese.

GLI NPL, COSA SONO
Su T-Mag è già capitato di spiegare cosa fossero gli NPL, ma è doveroso, in questo caso, fare un ripasso. NPL è l’acronimo di Non Performing Loans, ovvero i crediti deteriorati delle banche. Come spiega Bankitalia si tratta di «esposizioni verso soggetti che, a causa di un peggioramento della loro situazione economica e finanziaria, non sono in grado di adempiere in tutto o in parte alle proprie obbligazioni contrattuali. La profonda e prolungata recessione che ha colpito l’economia italiana e la lunghezza delle procedure di recupero dei crediti hanno concorso a determinare un elevato livello di crediti deteriorati nel sistema bancario italiano». Questa categoria di esposizioni è suddivisa in tre sottoclassi: le sofferenze, le inadempienze probabili, le esposizioni scadute e/o sconfinanti. «Le sofferenze – spiegano a Via Nazionale – sono esposizioni verso soggetti in stato di insolvenza o in situazioni sostanzialmente equiparabili. Le inadempienze probabili sono esposizioni (diverse da quelle classificate tra le sofferenze) per le quali la banca valuta improbabile, senza il ricorso ad azioni quali l’escussione delle garanzie, che il debitore adempia integralmente alle sue obbligazioni contrattuali. Le esposizioni scadute e/o sconfinanti deteriorate sono esposizioni (diverse da quelle classificate tra le sofferenze o le inadempienze probabili) che sono scadute o eccedono i limiti di affidamento da oltre 90 giorni e oltre una predefinita soglia di rilevanza.

Le ultime rilevazioni (contenute nell’ABI Monthly Outlook di dicembre) mostrano che solo «le sofferenze nette ad ottobre 2018 si sono attestate a 38,3 miliardi di euro; un valore inferiore rispetto ai 40,2 miliardi del mese precedente e in forte calo, -48,6 miliardi, rispetto al dato di dicembre 2016 (86,8 miliardi, cfr. Tabella 7). In 22 mesi si sono quindi ridotte di quasi il 56%. Rispetto al livello massimo delle sofferenze nette, raggiunto a novembre 2015 (88,8 miliardi), la riduzione è di oltre 50 miliardi, pari a circa il 57%».

 

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